Non vi siete ancora stancati di sentire la parola ‘Halloween’ e siete curiosi di sapere qualcosa in più riguardo questa festività di origine celtica?
In questo articolo troverete le radici della tradizione gaelico-cristiana narrate dal punto di vista di uno scrittore d’eccezione: James Joyce.
Nel 1922 (annus mirabilis per la letteratura) veniva pubblicato il capolavoro „Dubliners“ (Gente di Dublino). Otto anni prima Joyce
aveva scritto un racconto, inserito poi nella raccolta, che propone una prospettiva multifocale sulla festività conosciuta ormai come ‘Halloween’.
Il racconto, Clay (Argilla, in alcune traduzioni tradotto erroneamente con Polvere), parla di Maria, un‘attempata lavandaia che per il giorno della Vigilia di Ognissanti ha premura di preparare dei dolci per la festa che si sarebbe tenuta nel pomeriggio sul posto di lavoro, gestito da dei protestanti. Si reca poi presso una famiglia cattolica della parte nord di Dublino, il cui pater familias è un certo Joe Donnelly, per il quale Maria in passato ha lavorato come balia. Maria si ferma per strada a comprare i dolci per la famiglia Donnelly, sale poi su un tram, dove chiacchiera in maniera compiaciuta - ma anche imbarazzata - con un distinto colonnello a riposo, arriva infine a destinazione, ma si accorge che purtroppo si è dimenticata sul tram il regalo che aveva comprato. Alla donna vengono le lacrime agli occhi, ma si dirige comunque verso la casa di Joe, dove si svolge la festa. Una volta arrivata, cerca di dimenticare l’avvenuto; prende a cantare e a brindare con gli altri e partecipa ad un gioco della fortuna di origine pagana, il Puicìnì.
‘Clay’ è infatti un riferimento a tale gioco divinatorio di origine celtica che veniva praticato alla Vigilia di Ognissanti. Il Puicìnì consisteva nel disporre sul tavolo dei piattini dai contenuti diversi, i quali - ognuno con il proprio significato simbolico - potevano, secondo la tradizione, predire il futuro. L’anello, ad esempio, significava matrimonio prossimo; il libro delle preghiere o il rosario l’entrata in convento; l’acqua significava fertilità o il trasferimento in un altro Paese; l’argilla invece significava morte. I partecipanti venivano dunque fatti sedere al tavolo e, rigorosamente bendati, attendevano di ‘vedere’ con i loro occhi il futuro che li attendeva - questo in base al piattino che avrebbero toccato.
Il racconto, naturalmente, prevede che Maria tocchi l’argilla, segno di morte. Il gioco viene però ripetuto e la donna rimane bendata. La volta seguente ciò che le capita, per così dire, tra le mani è il libro delle preghiere. Una volta conclusosi il gioco, a grande richiesta degli invitati e dei padroni di casa, Maria canta una canzone d’amore, ma sbaglia una strofa.
Il testo si conclude, come ogni quasi racconto joyciano, senza un lieto fine né un indizio di certezza. Ciò che prevale è una cupa malinconia e un senso quasi di imbarazzo nei confronti dei personaggi. Tutti alla fine, infatti, nonostante Maria sbagli il testo della canzone, si commuovono pietosamente.
Ma non è questo a suscitare la vergogna o la pena nel lettore, bensì il fatto che la protagonista sia destinata alla morte, canti una canzone d’amore strappalacrime ed estremamente sdolcinata nonostante sia, come direbbero alcuni oggi, una ‘povera zitella’. Non solo: il destino che chi la circonda vuole o perlomeno accetta per lei è un destino di solitudine e privazione, che le toglie ogni prospettiva di libertà, anche dal punto di vista sessuale. La donna diventa capro espiatorio, vittima designata dei giochi che donano pace e conforto alla comunità. È infatti attraverso il suo sacrificio che in qualche modo la comunità cattolica trova pace e conforto.
Il testo potrebbe essere oggetto di un’analisi approfondita e al lettore - a differenza di Maria - è concessa, come in ogni testo modernista, ampia libertà d’interpretazione.
Mi soffermerò dunque su un aspetto che accenna Joyce riguardo il 31 ottobre, ovvero il fatto che questa data abbia avuto una risonanza impressionante nella cultura europea, coinvolgendo una prima accezione pagana (quella corse più strettamente legata a Joyce, irlandese), ovvero Samhain, e una seconda accezione e ricezione cristiana, che in Irlanda vede la partizione tra protestanti e cattolici, e un’ultima accezione popolare.
Samhain era il cosiddetto Capodanno celtico, e si celebrava, come noto, tra il 31 ottobre e il primo novembre. Le origini della festa celtico-pagana risalgono addirittura al VI secolo a.C. (si suppone addirittura prima) e il termine deriva dall’’irlandese samain, samuin o samfuin, ovvero “fine dell’estate”. Nell’irlandese moderno il significato è mutato in ‘Novembre’.
Come molte feste celtiche, veniva celebrata a più livelli: dal punto di vista materiale era il tempo della raccolta e dell'immagazzinamento del cibo per i lunghi mesi invernali. Essere soli in questa occasione significava esporre sé stessi ed il proprio spirito ai pericoli dei rigori invernali. Dal punto di vista più strettamente spirituale, invece, la festa era un momento di contemplazione. Per i Celti morire con onore, vivere nella memoria della tribù ed essere ricordati nella grande festa che si sarebbe svolta la vigilia di Samhain era una cosa molto importante. In Irlanda, infatti, questa sarebbe stata la "Festa dei Morti" o Fleadh nan Mairbh). Era proprio questo per i Celti il periodo più magico dell'anno: il giorno che non esisteva. Durante la notte il grande scudo di Scáthach veniva abbassato, eliminando le barriere fra i mondi e permettendo alle forze del caos di invadere i reami dell'ordine ed al mondo dei morti di entrare in contatto con quello dei vivi. I morti avrebbero potuto così ritornare nei luoghi che frequentavano mentre erano in vita, e celebrazioni gioiose erano tenute in loro onore. Da questo punto di vista le tribù erano un tutt'uno col loro passato ed il loro futuro.
E’ esattamente questo concetto di riconciliazione, di comunione tra vivi e morti a venire poi ripreso dal Cristianesimo. Halloween significa, come tutti ben sanno, Vigilia di Ognissanti (All Hallows Eve). La Solennità di Ognissanti - questo il nome completo per il Vaticano - erano inizialmente commemorazioni dei martiri, comuni a diverse Chiese, che cominciarono ad esser celebrate nel IV secolo, dunque due secoli dopo dell’inizio della celebrazione pagana di Samhain. Quando i Romani intorno al 40 d.C entrarono in contatto coi Celti identificarono il Samhain con la loro festa dei morti, chiamata Lemuria, che era però celebrata nei giorni 9, 11 e 13 maggio. Con la cristianizzazione, per coerenza con tutte queste ricorrenze pagane, nel 835 venne istituita da Papa Gregorio IV la festa delle reliquie cristiane prima dei santi apostoli, poi di tutti i santi il 1º novembre, giorno in cui a Roma si festeggiava San Cesario diacono e martire (santo tutelare degli imperatori romani).
Il primo ad osservare la somiglianza tra le celebrazioni l’una pagana e l’altra cristiana fu l’antropologo James Frazer, che si ispirò alle teorie dello storico Rhŷs.
Oggi Halloween è più un trick-or-treat con la morte, ma se andiamo a ripescare nel passato l’uomo sentiva forse una vera e propria necessità di entrare in contatto con ciò che non fa parte del mondo tangibile. E con la metafisica i tricks e i treats hanno poco a che a fare..
Comments