Personalmente ho sempre trovato i dialetti italiani molto interessanti: così vivi, colorati. Ogni espressione marca quel qualcosa in più che spesso l’italiano corretto non riesce a darci.
Il 24 giugno a Firenze si festeggia il patrono della città: San Giovanni. Una festa che richiama molte tradizioni folkloriche: la mattina un corteo cittadino, con sindaco ed autorità, porta dei ceri al Battistero come “dono” per il patrono, in questo giorno si disputa anche la finale del calcio storico fiorentino. Insomma, un giorno pieno di festeggiamenti che sfociano con i famosi e sempre inattesi “fuochi di San Giovanni”, che vengono fatti esplodere dal Piazzale Michelangelo e che chiudono il giorno di festa.
L’espressione “arrivare dopo i fohi”, ovvero “arrivare dopo i fuochi”, si rifà proprio alla festa di San Giovanni! “Eccolo! L’arria dopo e’ fohi!” tipica frase che vi sentirete dire da un fiorentino nel momento in cui arriverete in ritardo! Arrivare dopo i fuochi, ovvero quando ormai la festa è finita.
Questo detto è usato anche in un altro contesto, ovvero quando non si coglie qualcosa al volo.
Quest’espressione, però, è interessante in quanto ha radici molto meno recenti di quanto potessimo pensare. Infatti è un’espressione legata al mondo contadino: un tempo la fiera del patrono di Firenze si concludeva col bestiame che veniva fatto saltare sopra i fuochi accesi, per spegnerli.
I nonni dei nostri fuochi d’artificio moderni!
Com’è nata infatti la tradizione dei fuochi d’artificio?
In principio il contado era illuminato da torce e falò. C’erano delle lingue di fuoco che s’innalzavano da fascine di saggina e bacili di sego posizionati proprio sotto la Loggia dei Lanzi.
Solamente con l’arrivo della polvere da sparo si misero in scena gli spettacoli pirotecnici! C’erano infatti artisti che animavano la fiera con spettacoli utilizzando il fuoco, come ad esempio le girandole infuocate.
La Società di San Giovanni Battista si occupa di animare e colorare il giorno di festa già dal 1796 (che in passato durava in realtà quattro giorni). Inizialmente si sparavano razzi in piazza della Signoria, nel 1826.
Lungo il Novecento invece ci si spostò sulla terrazza di piazzale Michelangelo per sparare i fuochi d’artificio.
È interessante vedere come le tradizioni si siano mantenute nel tempo e siano mutate.
È affascinante poi, notare come certi modi di dire, derivati appunto da tali tradizioni, si siano tramandati e siano arrivati a noi, mantenendo un filo invisibile che percorre e collega secoli di storia.
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