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100 anni di Pasolini: le 100 vite dell’intellettuale corsaro

Pier Paolo Pasolini raccontato attraverso le sue frasi

Di Pietro Mini


Amo ferocemente, disperatamente la vita. E credo che questa ferocia, questa disperazione mi porteranno alla fine. Amo il sole, l'erba, la gioventù. L'amore per la vita è divenuto per me un vizio più micidiale della cocaina. Io divoro la mia esistenza con un appetito insaziabile. Come finirà tutto ciò? Lo ignoro.


Pierpaolo Pasolini era un uomo che amava. Amava la gente, amava la natura, amava la cultura, l’arte, la poesia. Amava la vita. Ogni pagina, ogni parola, ogni ripresa del più importante intellettuale italiano del novecento sono state spinte dal profondo amore che provava per le cose di questo mondo, che lo spingeva a esporsi, ad essere polemico e controcorrente, mai per anticonformismo o spocchioso intellettualismo, ma sempre per preservare la Vita da ogni contaminazione e corruzione. Per questo Pasolini riusciva ad essere poeta, scrittore, critico, regista, sceneggiatore; ed eccelleva in ognuno di questi campi. Attraverso il commento di alcune sue celebri frasi tento di ricostruire il pensiero di questo personaggio fondamentale per l’Italia del dopoguerra.


Ho visto dunque coi miei sensi il comportamento coatto del potere dei consumi ricreare e deformare la coscienza del popolo italiano, fino a una irreversibile degradazione. Cosa che non era accaduta durante il fascismo fascista, periodo in cui il comportamento era completamente dissociato dalla coscienza.


La frase è tratta da Scritti Corsari, una raccolta di articoli che Pasolini scrisse per il Corriere della Sera tra il 1973 e il 1975, prima di morire assassinato in circostanze non del tutto chiare. In questi articoli, pubblicati sempre in prima pagina, Pasolini ha fatto la storia del giornalismo italiano, commentando i principali eventi che sconvolsero l’Italia dell’epoca sempre dal suo particolare punto di vista. Più volte il poeta friulano torna sul tema del consumismo, che critica aspramente e descrive come un sistema molto più fascista del vero fascismo. Infatti, a differenza dei modelli fascisti, che non andavano a modificare la vita delle persone nel proprio privato, il modello consumista/capitalista che in quegli anni si era già imposto grazie alla televisione e alla pubblicità, aveva già spazzato via tutti i valori della società italiana precedente al benessere, portando ad una superficiale omologazione e alla perdita della molteplicità di culture tipica della società italiana.


Ognuno in Italia sente l’ansia, degradante, di essere uguale agli altri nel consumare, nell’essere felice, nell’essere libero: perché questo è l’ordine che egli ha inconsciamente ricevuto. (…) La condizione contadina o sottoproletaria sapeva esprimere, nelle persone che la vivevano, una certa felicità reale. Oggi questa felicità – con lo Sviluppo – è andata perduta.


Avendo vissuto la propria infanzia in diverse realtà rurali friulane, Pasolini rimpiange la grandezza del mondo contadino, che aveva valori e modelli culturali altri rispetto a quelli borghesi, e che erano stati distrutti, nel nome di uno sviluppo che però forse ha reso solo le persone più nevrotiche e non ha portato reale felicità.


Migliaia di uomini sotto il tuo pontificato, davanti ai tuoi occhi, son vissuti in stabbi e porcili. Lo sapevi, peccare non significa fare il male: non fare il bene, questo significa peccare. Quanto bene tu potevi fare! E non l’hai fatto: non c’è stato un peccatore più grande di te.


Si chiama Lettera a un papa questa poesia in cui si vede il profondo anticlericalismo di Pasolini, che, pur ammirando il personaggio di Gesù e ricostruendo molte opere d’arte cattoliche nelle scene dei propri film, non accetta le ipocrisie e i compromessi del Vaticano.




Ma non potrei concludere meglio un articolo su Pierpaolo Pasolini che con questa poesia, tratta da Poesia in forma di rosa, che viene anche letta da Orson Welles nel film La ricotta. Qui Pasolini parla della propria vita e del suo pensiero, con delle parole che risultano più chiare di ogni commento.


Io sono una forza del Passato. Solo nella tradizione è il mio amore. Vengo dai ruderi, dalle chiese, dalle pale d'altare, dai borghi abbandonati sugli Appennini o le Prealpi, dove sono vissuti i fratelli. Giro per la Tuscolana come un pazzo, per l'Appia come un cane senza padrone. O guardo i crepuscoli, le mattine su Roma, sulla Ciociaria, sul mondo, come i primi atti della Dopostoria, cui io assisto, per privilegio d'anagrafe, dall'orlo estremo di qualche età sepolta. Mostruoso è chi è nato dalle viscere di una donna morta. E io, feto adulto, mi aggiro più moderno di ogni moderno a cercare fratelli che non sono più

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