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“Il pellegrinaggio in Oriente”, il romanzo di Hermann Hesse in fuga dall’Occidente e dalla realtà


Di Pietro Mini


Quando ho trovato nella mia antica libreria questo breve romanzo di Hermann Hesse ho subito creduto che avesse le stesse atmosfere di “Siddharta”, l’opera più famosa dell’autore. Mi aspettavo di trovare paesaggi orientali, meditazione, esistenzialismo. Niente di tutto questo. Scansiamoci subito dagli equivoci: “Il pellegrinaggio in Oriente” è un romanzo che non parla di un pellegrinaggio in Oriente. Il pellegrinaggio che il protagonista compie è piuttosto un percorso spirituale, alla continua ricerca della verità e di conseguenza anche di sé stesso.


La prima stranezza di questo romanzo, in cui davvero niente è come sembra, sta nel nome del protagonista: H.H. evidente pseudonimo dell’autore. Costui, nel <<periodo torbido, disperato e tuttavia così fertile che seguì la prima guerra mondiale>> decide di partire per un viaggio verso Oriente insieme a una misteriosa setta chiamata Lega, composta da uomini che hanno come obiettivo la ricerca di una dimensione della realtà, che sia metafisicamente altra rispetto all’Occidente che tanto li ha delusi. Ma il viaggio non arriverà mai a destinazione e questo gruppo di viaggiatori si disperderà fino a dimenticare questi eventi. Per questo motivo H.H. decide di scrivere l’epopea del pellegrinaggio in Oriente, per cercare di tirare fuori dei ricordi che ha invece obnubilati, vaghi, polverosi.


Qui comincia una parte decisamente nuova del romanzo, in cui l’autore riflette su quel che significa essere artisti: <<Domandai al servitore Leo perché mai gli artisti sembrassero talvolta uomini soltanto per metà, mentre le loro immagini apparivano così inconfutabilmente vive>>. La risposta è che <<Lo stesso avviene con le madri. Dopo che hanno partorito i figli e dato loro il proprio latte, la propria bellezza ed energia, diventano a loro volta poco appariscenti e nessuno più le cerca>>. H.H. dovrà così fare i conti con la propria natura, e capire se è creatore o creazione, fino ad arrivare ad un finale che unirà indissolubilmente le due parti che lo compongono e porterà i protagonisti alla fine del proprio viaggio esistenziale. Perché in fondo, come disse il poeta Novalis, <<Dove mai andiamo? Sempre a casa.>>

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