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A cena di... Etimi!

Signore e Signori, Madame et Monsieur, Ladies and Gentleman sono lieto di presentarvi la cena di questa sera, pensata e totalmente realizzata dal nostro pluristellato chef Mr. Treccani. Tutte le portate saranno accomunate da un ingrediente molto particolare e, ancora oggi, sconosciuto ai più: l’etimologia. Quest’ultima è una disciplina linguistica che si occupa dello studio delle parole, risalendo alla loro origine nel tempo e nello spazio, talvolta con risultati davvero curiosi ed interessanti. In alcuni casi, alla rigorosità della materia, si associa una componente di mito e leggenda che, in questo ambito, determina la nascita di etimi (ovvero vocaboli) con una storia davvero particolare e che ancora oggi suscita una fascinazione importante su chi si interessa a tale disciplina. La “cena” di questa sera prenderà in esame alcune parole del lessico comune che utilizziamo quotidianamente (o quasi) in ambito culinario, approfondendo la loro origine e il loro studio, così da offrire una panoramica primitiva e allo stesso tempo divertente delle varie etimologie.


Antipasto: focaccia con i pomodorini

Chi non conosce la celeberrima focaccia con i pomodorini? A contendersene la paternità ad oggi sono principalmente due regioni italiane: la Puglia e la Liguria. Tralasciando le dispute sulle origini di tale alimento, ciò che è certo è che la sua origine si deve probabilmente ai fenici che, su una pietra rovente, cuocevano un impasto di miglio, orzo, acqua e sale. Tale preparazione è ricordata addirittura da Catone nel II secolo a.C.: presso gli antichi romani tale prelibatezza, per la sua gustosità e ricchezza, era offerta in dono agli Dei, mentre in epoca rinascimentale veniva servita insieme a del buon vino durante i banchetti di nozze. Ciò che interessa a noi, però, in questo caso, sono le etimologie delle parole “focaccia” e “pomodoro”. La prima, secondo Fiorenzo Toso, studioso di lingue moderne, apparirebbe per la prima volta in un documento scritto del 1300. Questa deriva dal tardo latino “focus”, un chiaro richiamo alla sua modalità di cottura, da cui deriverebbe a sua volta la parola “focacius”, ovvero “cotto al focolare”. Per quanto riguarda il termine “pomodoro”, questo è da attribuire al senese Pietro Andrea Mattioli (botanico) che per primo, nella sua opera Medici Senensis Commentari (1544), documentò la comparsa di tale frutto (importato dalle Americhe) sul suolo italiano, definendolo mala aurea, ovvero “pomo d’oro”, per il suo classico colore ambrato prima di giungere a maturazione.



Primo: parmigiana di melanzane

Per quanto riguarda questo famosissimo primo possiamo parlare di un’etimologia dentro un’altra etimologia, ma procediamo per ordine. Come per la focaccia, anche per questo piatto straordinario la sua origine è dubbia: Sicilia, Napoli o Parma? A ben sentire, si protenderebbe per l’ultima città, da cui la prelibatezza trarrebbe il suo nome. Dal momento che, però, le melanzane sarebbero approdate per la prima volta nella Trinacria attraverso gli arabi, si farebbe derivare il suo nome da “parmiciana”, ovvero la serie di listelli di legno che formerebbero le persiane e che ricorderebbero la disposizione delle fette dell’ortaggio fritto. La prima ricetta documentata della parmigiana risale al 1733, quando fu messa per iscritto da Vincenzo Corrado, cuoco pugliese al servizio di aristocratici napoletani, nel “Cuoco galante” (anche se, tuttavia, al posto delle melanzane venivano utilizzate le zucchine). La versione più simile a quella odierna si deve a Ippolito Cavalcanti, che la descrisse nel 1839 nella sua “Cucina casarinola co la lengua napolitana”. A far propendere per la pista ducale, oltre all’utilizzo del parmigiano (aggiunto solo in seguito al posto del pecorino), sarebbe l’espressione “cucinare alla maniera dei Parmigiani”, utilizzata tra XV e XVI secolo per indicare l’usanza di cucinare le verdure a strati. Altrettanto interessante è l’origine del termine melanzana: inizialmente questa fu chiamata “petronciana” (altro vocabolo dal quale potrebbe derivare l’etimo parmigiana), per assonanza con il suo nome persiano. Per il fatto che tale ortaggio non potesse (e non può) essere consumato crudo, iniziò a diffondersi la locuzione “mela insana” che, per sinalefe, finì per dare origine al termine “melanzana”.



Secondo: polpette al sugo

Uno dei must del pranzo domenicale in famiglia sono certamente le polpette al sugo. Succose, saporite e divine, la loro origine si deve a Marco Gavio Apicio, cuoco romano, che tra il 35 a.C. e il 25 a.C., cucinava delle palline di carne o pesce. Il termine “polpetta” appare per la prima volta nel XV secolo nel “Libro de Arte Coquinaria” di Maestro Martino, cuoco del camerlengo patriarca di Aquileia. L’etimologia di questa pietanza, ancora oggi, non è del tutto chiara; secondo alcuni, l’origine risalirebbe dal termine francese “paupiere”, individuando nel movimento circolare delle mani l’atto di aprire e chiudere le palpebre. Tenendo conto del fatto che inizialmente, però, le polpette non erano fatte di carne macinata (se prendiamo in considerazione il Maestro Martino la preparazione era più simile a uno spiedino), e che quindi non si assocerebbe il movimento sopraccitato, è più probabile che alla base del termine sia da ricercare nel tipo di carne utilizzato: il taglio più succulento del cervo o del vitello, ovvero la polpa. In italiano l’etimo “polpetta”, dunque, sarebbe un diminutivo vezzeggiativo del latino “pulpa,ae”, che indica la carne privata dell’osso.



Vino: Est! Est!! Est!!!

In questa deliziosa cena preparata dal nostro chef Treccani, non poteva certamente mancare un buon vino: per l’occasione è stato scelto “Est! Est!! Est!!!”. La storia di questa bevanda risale al 1111, quando Enrico V di Franconia, accompagnato dal vescovo Johannes Defuk, si stava recando da Papa Pasquale II per ricevere la corona imperiale. Il coppiere dell’ecclesiastico, di nome Martino, aveva ricevuto il compito di precedere il corteo per scovare tutte le locande che servivano il vino migliore, essendone il prelato un amante. Per segnalare le bettole, il servitore doveva scrivere accanto alla porta la parola “est”, cioè “c’è”. Si narra che, arrivato a Montefiascone, una località del Lazio, Martino rimase talmente tanto impressionato dalla qualità del vino locale che scrisse “Est! Est!! Est!!!”. Defuk si trovò totalmente d’accordo con il suo coppiere, tanto che, una volta assolti i suoi compiti, si trafserì a Montefiascone, dove rimase fino al giorno della sua morte. Come per tantissime altre parole di origine greca e latina, anche l’etimo “vino” presenta un’etimologia incerta. Tra le più affascinanti va sicuramente ricordata quella proposta da Cicerone, per cui, secondo lui, deriverebbe dall’unione delle parole “vir” e “vis”, che indicano rispettivamente “uomo” e “forza”. Il vino, dunque, sarebbe “la forza dell’uomo”.



Dolce: cantucci

Per concludere in bellezza, non potevano certamente mancare i cantucci. La loro comparsa ufficiale risale al 1691, quando l’Accademia della Crusca inserì il vocabolo nel suo dizionario, definendoli “biscotto a fette, di fior di farina, con zucchero e chiara d’uovo”. I biscotti più famosi del tempo erano prodotti a Pisa, tanto che lo scienziato Francesco Redi usava spedire, insieme alle sue missive, un pacco di cantuccini, reperiti appunto nel pisano. Il nome, a quanto pare, deriverebbe da “canto” (cioè parte di un insieme) o da “cantellus”, ovvero “fetta di pane”, per la loro forma caratteristica.




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