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federica pirpignani

Andiamo da quelli delle Giubbe Rosse

Aggiornamento: 27 ott 2020

Percorrendo via Roma, meglio conosciuta per i negozi di alta moda , sulla destra si apre l’elegante piazza della Repubblica. Cuore romano della nostra città universitaria, è costituita da un arco prorompente davanti al quale si erge una giostra d’epoca che crea un’atmosfera molto suggestiva. Oggi giorno è maggiormente frequentata perché sede di vari scioperi o perché ottimo scenario per foto artistiche da postare su instagram con una frase a caso di Charles Bukowsky a fare da didascalia. In realtà, alcuni punti della piazza si contraddistinguono per il loro inestimabile valore culturale, basti pensare ai tre caffè storici che estendono i propri tavolini proprio su questo spazio. Analizzando il lato sud, si nota il caffè d’epoca delle Giubbe Rosse.

Nacque nel 1896 come birreria ,per mano dei fratelli Reininghaus. La peculiarità dei camerieri erano le giubbe rosse con cui vestivano, secondo la moda viennese del tempo. I fiorentini, trovando difficoltà a pronunciare il nome straniero, si rivolgevano ai loro compagni dicendo: “andiamo da quelli delle giubbe rosse”. Inizialmente questo caffè ospitava un circolo scacchistico in cui la leggenda narra che siano passati Vladimir I, Lenin , nonché poeti e intellettuali quali Gordon Craig, Andrè Gide e Medardo Rosso. Dal 1910 il locale cambiò proprietà. I nuovi padroni , constatata l’inutilità di scervellarsi per trovare un nome d’effetto , dato che i fiorentini avevano già provveduto a battezzarlo, si arresero a scrivere “le Giubbe Rosse” sull’insegna. I primi anni del ‘900 videro sedere ai tavoli del caffè Giovanni Papini, Ardengo Soffici e Giuseppe Prezzolini, legati alle riviste “Il Leonardo” e “La Voce”.

A seguito della pubblicazione del manifesto futurista nel 1909 a opera di Filippo Tommaso Marinetti, anche questa avanguardia non tardò ad arrivare nel dinamico locale. Il circolo intellettuale fiorentino che si riuniva a “ le Giubbe Rosse”, abbracciò molti ideali di questo fresco movimento milanese e condivise il proposito di scacciare l’antiquato per lasciare spazio all’innovazione. Non tutti però erano aperti alle novità. In particolare Soffici definì i futuristi, “dei clowns tragici che vogliono spaventare un placido pubblico ignorante”, frase che potrebbe essere pronunciata da Squiddi mentre osserva dalla finestra di casa sua Spongebob e Patrick intenti a compiere una delle loro bravate . La prima mostra di pittura futurista a Milano, fu dunque stroncata dalla rivista La Voce, il palcoscenico di Soffici. Per vendicarsi, Marinetti, Carrà, Boccioni e Russolo si recarono a Firenze. Il loro modo di annunciarsi fu del tutto singolare. Per i cinefili, immaginate il film Django unchained ( written and directed by Quentin Tarantino). Nel lontano 1858, da qualche parte in Texas, il dottor King Shultz e lo schiavo Django, due cacciatori di taglie, uscirono da un saloon e uccisero lo sceriffo della cittadina, sulla cui testa gravava una taglia di 200 dollari. Uno scenario simile si aprì il 30 giugno 1911 , ovviamente senza il cruento spargimento di sangue tipico delle pellicole di Tarantino. Quattro uomini varcarono la soglia del caffè chiedendo di Ardengo Soffici, il ricercato . Sentendosi chiamato in causa, il critico artistico-letterario rispose in modo affermativo alla domanda e fu vittima dello schiaffo che fece scoppiare una rissa focosa.

Subito dopo il primo conflitto mondiale, il locale diventò luogo di ritrovo per Eugenio Montale, Umberto Saba e per la redazione della rivista Solaria. E poi, ancora, Carlo Bo e Mario Luzi negli anni Trenta, seguiti da Elio Vittorini e Salvatore Quasimodo nel secondo dopoguerra. Data la sua ricchezza dal punto di vista storico, il Ministero dei Beni Culturali ha emesso un decreto che ne certifica il valore e stabilisce la tutela degli interni.

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