La peste che il tribunale della sanità aveva temuto che potesse entar con le bande alemanne nel milanese, c’era entrata davvero, come è noto; ed è noto parimente che non si fermò qui, ma invase e spopolò una buona parte dell’Italia.” (Alessandro Manzoni, I Promessi Sposi; cap.31)
La malattia da sempre è stata interpretata come segno di un castigo divino, voluto da Dio per punire gli uomini per i peccati da loro commessi; questa era concepita come qualcosa di irreversibile, da ricondurre ai propri antenati e che arrivava a condannare e punire interi paesi. Le malattie che in particolare lasciavano il segno all’interno delle comunità erano quelle di tipo infettivo, come per esempio la peste che, a partire dalla metà del Trecento, si diffuse rapidamente in tutta Europa diventando un fenomeno endemico fino alla metà, circa, del ‘700. Oltre a cronisti e scrittori, coloro che analizzarono a fondo gli effetti delle malattie infettive furono pittori e scultori: questi, attraverso le loro opere, misero in mostra la condizione di abbandono e di solitudine dell’uomo nell’ambito del sociale, definendo la malattia come un “fenomeno che modifica il corpo”. Ogni artista, però, rappresenta il morbo in maniera differente, secondo la tradizione di cui è figlio. Per questo nel corso di questo testo analizzeremo le differenti simbologie delle malattie infettive nel corso del tempo e come queste abbiano influenzato le generazioni avvenire.
LA PESTE NERA
La peste nera è forse una delle pandemie
più famose che la storia ricordi. Questa fu
importata dalla Cina a partire dal 1346:
attraverso la via della seta, la grande arteria che legava il continente euroasiatico in una sorta di “globalizzazione” dell’epoca,
giunse a Caffa, in Crimea, e da lì grazie alle
navi genovesi superstiti, arrivò a
Costantinopoli, colpendo poi il medio
Oriente, la Sicilia e da lì tutta Italia, la città
portuale di Marsiglia e tutta Europa. Il
batterio che provocava questa malattia fu
isolato solo nel 1894 e identificato con lo
Yersinia Pestis, che si trasmetteva generalmente dai topi agli uomini per mezzo delle pulci. Il batterio, una volta entrato in un organismo, attaccava i linfonodi di questo, facendoli ingrossare e causando i caratteristici “bubboni”. I sintomi più frequenti erano febbre alta, vomito, mal di testa e, nelle fasi più avanzate, letargia, ipotensione e dispnea che conferivano al malato una colorazione scura della pelle (da qui il nome di “peste nera”). La mortalità di questa malattia si aggirava intorno al 50%, mentre saliva al 99% quando il virus si trasformava, intaccando la zona polmonare. La peste ebbe conseguenze devastanti sull’intera umanità: la crescita demografica si arrestò quasi completamente, facendo affondare la produttività. L’impatto più importante fu quello nel sociale, poiché la popolazione sentiva il bisogno
di trovare una causa a ciò che stava accadendo: l’origine del male fu identificata in tutti i “diversi”, in particolare modo negli ebrei, che iniziarono ad essere perseguitati guadagnandosi il titolo di “untori”. L’epidemia di peste nera fu largamente rappresentata dagli artisti del tempo: basti pensare all’”Inferno” di Nardo di Cione in Santa Maria Novella a Firenze, o al “Trionfo della Morte” nella Galleria Regionale di Palazzo Abatellis a Palermo. In quest’ultima opera, la Morte viene rappresentata con una particolare insistenza sui temi macabri e di matrice gotica di crudele espressività, una caratteristica poco riconducibile ad artisti italiani: per questo l’affresco viene attribuito a Guillaume Spicre. La scena è ambientata in un giardino incantato, dove la Morte irrompe su un cavallo scheletrico; essa scaglia frecce verso i personaggi che animano il dipinto, colpendo persone di ogni estrazione sociale, che vediamo accasciate e distese a terra alla base dell’opera. A sinistra si trova un gruppo di povera gente che invoca la Morte per mettere fine alle proprie sofferenze , ma che viene
completamente ignorata. A destra, in netta opposizione al gruppo di sinistra, si trova il gruppo degli aristocratici, noncuranti di ciò che sta accadendo. Il significato dell’affresco è chiarissimo: la morte non guarda in faccia nessuno e può colpire da un momento all’altro e, soprattutto, nel momento in cui meno ci si aspetta.
LA PESTE DEL SEICENTO
Come detto precedentemente, a partire dal Trecento la peste diviene un fenomeno endemico in tutta Europa. Un’altra feroce epidemia di peste è stata quella che
interessò principalmente l’Italia negli anni trenta del Seicento. In questo caso la peste viene rappresentata secondo modalità diverse. Nella pittura classica la
composizione assume toni solenni e composti; l’immagine che viene data del flagello è ideale ed astratta, con
composizioni eleganti ed equilibrate con colori nitidi e non troppo vivaci. I classicisti tentano infatti di dare un ordine e razionalizzare un evento caotico e sconvolgente. Un’altra modalità di rappresentazione è quella realistica, in cui la peste è intesa come unanime e umana condizione di sofferenza. Qui si insiste sui colori della tragedia, in una composizione dove si distingue il divino dal terreno: il primo dominato da una luce dorata e da Santi imponenti e misericordiosi, il secondo poco o per niente illuminato, dove a dominare sono la sofferenza e le devastazioni. L’esempio lampante per la rappresentazione realistica è il dipinto “San Gennaro intercede presso la Vergine, Cristo e Dio Padre per la peste” di Luca Giordano, pittore napoletano. In quest’opera sono nettamente visibili le divisioni dei due mondi sopracitati e qui è ben intuibile l’impotenza, la consapevolezza e la rassegnazione di vivere in una colpa apparentemente incomprensibile, ma espiabile attraverso un’infinita fede e speranza nel Signore.
LA SPAGNOLA
L’influenza detta “spagnola” solo perché i giornali spagnoli furono i primi a parlarne e conosciuta anche come “grande influenza” fu una pandemia che interessò l’intera umanità tra il 1918 e il 1920, nel periodo quindi immediatamente successivo alla fine del primo conflitto mondiale. A differenza di altre pandemie influenzali, che uccidevano quasi ed esclusivamente anziani già compromessi da altre
patologie, la spagnola uccise prevalentemente giovani e adulti. La mortalità di tale malattia infettiva, a detta degli studiosi, è da ricondurre principalmente alla scarsa igiene, alla malnutrizione e agli affollamenti degli ospedali. La ricaduta sul sociale fu tremenda e molti furono i comportamenti inusuali e bizzarri legati a quest’influenza: in alcuni
paesi salì vertiginosamente il tasso di alcolismo, poiché si credeva che l’alcool neutralizzasse il morbo. In Cile si dette fuoco alle case degli indigenti, poiché considerati come principali mezzi di diffusione. Tante menti geniali furono vittime della spagnola, come l’artista
viennese Egon Schiele che, involontariamente, nel suo ultimo dipinto, “La famiglia”, rappresentò la “più terribile delle malattie”. Nell’opera viene rappresentata un’intera famiglia, dai corpi rugosi e nodosi; tutti i personaggi del dipinto appaiono emaciati e privi di forze, come se fossero segnati dalla malattia. L’atmosfera è cupa, i colori sono pesanti, oppressivi e contribuiscono a rendere la scena piatta ed immobile.
IL CORONAVIRUS
Sicuramente era impossibile non citare il
Coronavirus, il morbo che dagli inizi di
gennaio dell’anno passato ha iniziato a
diffondersi senza mai fermarsi. Sin dai primi casi la gravità di tale situazione era apparsa più o meno chiara. Il periodo che stiamo attraversando è confuso e concitato: non si ha fiducia nelle autorità, si riconosce lo straniero come proprio nemico, le certezze crollano e si
cerca senza sosta il paziente zero. A che giova, tutto ciò? A niente. Serve solo ad alimentare l’incertezza e la paura. Nell’oscurità di tale periodo, però, piano piano si stanno riscoprendo alcuni valori che nella nostra società si erano affievoliti o erano del tutto scomparsi, come l’umanità e la solidarietà o ancora il senso di appartenenza a una di quelle che, possiamo affermarlo a gran voce, è una delle nazioni più belle del mondo. Come le altre epidemie finora descritte, anche quella del Covid-19 ha scatenato la creatività degli artisti: è sicuramente il caso di citare Tvboy, street artist palermitano che nel febbraio del 2020 ha realizzato su un muro di Milano il graffito “L’amore ai tempi del Co…vid-19”. Il titolo di tale opera si rifà sicuramente al celeberrimo romanzo dello spagnolo Marquez “L’amore ai tempi del colera”. Il murale è una reinterpretazione del “Bacio” di Hayez: qui, però, i due innamorati sono entrambi dotati di mascherine e di amuchina, i due simboli dell’emergenza in Italia.
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