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Immagine del redattoreMatteo Mannucci

Bias cognitivi: siamo consapevoli delle scelte che prendiamo?

Partendo dal presupposto che siamo esseri umani, in quanto tali siamo limitati per definizione. Crediamo di essere razionali, quando in realtà siamo razionalizzanti: compiamo spesso scelte tra virgolette a caso, per poi aggiustarcele in seconda battuta con la testa. E il nostro cervello prende, all’incirca, 30mila decisioni ogni giorno, ed è inondato da milioni di informazioni, troppe per essere processate correttamente. Rappresenterebbe una fatica immane per la mente seguire sempre e con costanza una logica lineare che permetta di giungere a decisioni giuste e ponderate, e oserei dire concluse. Perciò il cervello umano è costretto (e anche interessato) a ricorrere a delle strategie cognitive, che consentano al cervello stesso di essere più veloce ed efficiente, a delle vere e proprie scorciatoie: queste “facilitazioni” sono ovviamente utili a livello di economia intellettiva, ma hanno il rischio di essere fallaci, spingendo la ratio in un concatenarsi di errori di ragionamento e di valutazione, che prendono il nome di bias ed euristiche. I due termini sono legati da un rapporto causale; possiamo infatti considerare il bias come l’errore cognitivo finale in sé, mentre l’euristica la strada che ha portato la mente a sbagliare.



 

MA COSA È DI PRECISO UN BIAS?

Un bias cognitivo è una distorsione inconscia del ragionamento che altera la percezione della realtà. Termine inglese, intraducibile in italiano, trae origine dal francese biais, la cui etimologia viene fatta risalire al greco epikarsios, che significa obliquo. Inizialmente usato nel gioco delle bocce, per indicare i tiri storti, nella seconda metà del ‘500 il termine assume una ricchezza semantica più vasta, fino ad inglobare significati come pregiudizio, selezione, tendenza e influenza. Per bias, oggi, si intendono infatti tutti quei costrutti fondati, al di fuori del giudizio critico, su percezioni errate o deformate, su pregiudizi e ideologie. Utilizzati per prendere decisioni in fretta e senza fatica, ma che hanno un impatto nella vita di tutti i giorni, non solo sulle attività umane, ma anche sui processi di pensiero, si attivano in situazioni di sovraccarico o di mancanza di informazioni, di selezione dei dati da ricordare o in quelle in cui si rende necessaria un’azione rapida.

Il numero di bias cognitivi che possono innescarsi nella nostra mente è vastissimo: esistono decine di categorie diverse e ogni essere umano, per quanto possa ritenersi intelligente, razionale e logico, ogni giorno ne subisce le conseguenze. Potenzialmente, ciascuna decisione potrebbe essere rovinata da un bias.

Ma questi errori mentali non sono sempre negativi. Anzi, le scorciatoie e gli sbagli che la ragione umana ha intrapreso e commesso nel corso della storia sono collegati ai concetti di evoluzione e sopravvivenza: in circostanze pericolose, in cui il tempo per decidere sul da farsi scarseggia, è fondamentale possedere un cervello in grado di processare quanto accade con celerità. Basti pensare a qualche nostro attentato, migliaia di anni fa, alle prese con una bestia feroce: cosa sarebbe successo se si fosse messo a calcolare il peso dell’animale, a ipotizzare velocità ed accelerazione per capire come mettersi in salvo? Bastava l’istinto di sopravvivenza, fondamentale allora, sempre utile oggi.


 

I BIAS PIÙ DIFFUSI

Tornando al presente, le distorsioni cognitive più comuni, indipendentemente dai pro e dai contro, sono 5:

  1. Bias della conferma: il meccanismo psicologico che porta alla ricerca (inconscia) di informazioni e prove a favore delle proprie opinioni, giudizi e paradigmi cognitivi, escludendo quelli contrari. Tipiche di chi subisce gli effetti di questo bias sono affermazioni come "Ecco, lo sapevo. Ogni volta che parliamo, si finisce litigando!", molto frequenti in circostanze che prevedono un forte carico emotivo o una credenza solida, difficile da confutare.

  2. Effetto Dunning-Krueger: la tendenza nelle persone poco esperte in un campo a sopravvalutare le proprie abilità e, viceversa, nelle persone competenti a sminuirle. La conoscenza superficiale di una materia, infatti, può dare l’impressione che essa sia semplice, alla portata di tutti. Invero chi detiene un sapere superficiale su un argomento è il primo a declamare di avere delle certezze a riguardo.

  3. Errore fondamentale di attribuzione: la tendenza, evidente di fronte ad un errore, a giudicare gli altri in base al comportamento e noi stessi in base alle circostanze. Uno sbaglio ha sia cause interne (come ignoranza, disattenzione, o i bias stessi) sia esterne (come circostanze sfavorevoli o errori altrui). Se siamo noi a commetterlo, la propensione sarà quella di attribuirlo alle circostanze (“ho commesso una svista perché ho lavorato troppo” oppure “ho reagito male perché sono stato provocato”. In pratica consiste nel giustificare l’errore attribuendo la colpa ad una causa esteriore). Se invece sono gli altri, attribuiremo lo “svarione” a cause interne alla persona, definendola in base a quell’errore (“ha sbagliato perché incompetente”; “ha reagito in quel modo perché è una testa calda”). Eppure anche strafalcioni altrui possono avere motivi esterni.

  4. Effetto Pigmalione: chiamato anche “Effetto Rosenthal” (dallo psicologo che l’ha scoperto), è la cosiddetta “profezia che si autorealizza”. In particolare avviene quando le aspettative, che si hanno di una persona, influenzano il comportamento e il rendimento della persona stessa. Ad esempio, se un insegnante pensa che un’alunna abbia un enorme potenziale, allora la sua opinione influenzerà i comportamenti che avrà con la studentessa, stimolando in lei determinati pensieri che condizioneranno, in positivo, le sue azioni e quindi i risultati che archivierà. Ovviamente questo nel caso di aspettative positive, mentre prospettive negative tendenzialmente generano risultati negativi.

  5. Maledizione della conoscenza: processo per il quale, una volta assimilata una nozione, viene dato per scontato che anche gli altri abbiano conoscenza del concetto appena appreso. È il caso di chi abusa di sigle o termini stranieri nei suoi discorsi, presumendo che tutti li comprendano.


 

A CHE SERVE CONOSCERLI?


Capire cosa sono i bias cognitivi, come funzionano e a quali siamo più soggetti ci facilita nella comprensione delle nostre scelte e della formazione delle nostre credenze; soprattutto ci dovrebbe aiutare ad esercitare auto-critica rispetto ad esse.

Ogni individuo dovrebbe imparare a riconoscere quando un ragionamento proprio o altrui è viziato da pregiudizi ed errori di giudizio, e dovrebbe divenire consapevole di quali stereotipi è inconsciamente preda. Purtroppo non basta studiarne le caratteristiche per evitare questi “falli cognitivi”. Come mai? Tutta colpa di un altro bias, quello del punto cieco: una sorta di meta-bias che ci rende impermeabili alla critica e al processo di superamento degli sbagli; consiste nella riluttanza a riconoscere che le nostre valutazioni sono soggette a pregiudizi, tendendo ad individuarli solo nel pensiero altrui, credendo dunque di essere meno prevenuti rispetto agli altri.

In definitiva, essere esenti dai bias sembrerebbe praticamente impossibile, un dedalo senza uscita, un enigma senza soluzione. Però acquisire consapevolezza dei limiti della nostra ragione è fondamentale per usarla al meglio. Le varie tecniche di “debiasing” (la riduzione degli effetti degli errori comportamentali durante processi di decisione) non garantiscono una vittoria definitiva e conclamata contro gli stereotipi, ma arrivano in soccorso per diminuirne l’impatto. Così, tutte le volte in cui stiamo per operare una scelta o per esprimere un’opinione a proposito di qualcosa o qualcuno, dobbiamo ricordare di fermarci un attimo e riflettere (come direbbe Fabrizio Moro, “prima di sparare pensa”!): mettere al vaglio le nostre intuizioni ed esaminarle con un’analisi lenta, guardinga e meticolosa. Che non sia troppo faticoso, sia chiaro. È bene anche salvaguardare energie psichiche e non infangarsi in cavilli mentali densi e talvolta indecifrabili. In certe occasioni è sano non pensare, se ciò non arreca danno o conseguenze a nessuno. Ma, in sostanza, questa presa di coscienza di come e quando si mettono in moto i bias non è altro che comunicare interiormente con noi stessi e finalmente conquistare un briciolo di comando sulla nostra mente.





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