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Blue Jasmine: disperazione schizofrenica

E se Woody Allen, re incontrastato della comicità-paradosso nella filmografia, fosse capace di andare oltre una sceneggiatura quasi impeccabile, acuta, tagliente? Se fosse capace di indagare (sempre sottilmente e con un vago sapore humor) la psiche? Ebbene, con Blue Jasmine ci è riuscito: non solo ha indagato la psiche, infatti, ma l’ha addirittura disarmata, mettendone a nudo le fragilità. Uscito nelle sale italiane il 5 dicembre 2013, Blue Jasmine è una tragicomedy che narra la storia di una socialite, Jasmine Francis, e del suo esaurimento nervoso, una volta che il matrimonio con il marito Hal (ricco finanziere che, per aver defraudato i suoi clienti, viene arrestato) naufraga, lasciando la protagonista in una solitudine fatta di debiti e irrimediabile amarezza. Jasmine, interpretata dalla magistrale Cate Blanchett - che vinse il Premio Oscar come miglior attrice protagonista proprio per aver interpretato questo ruolo -, è costretta allora a cercare sostegno dalla sorella, Ginger, tra le vittime, assieme al marito, dei sotterfugi finanziari di Hal (Alec Baldwin). Ginger e Jasmine sono due donne in tutto e per tutto diverse: la modesta vita della prima, non abituata come la sorella agli agi, spinge Jasmine a rifugiarsi in un mondo di illusioni, dove il rimedio alla sofferenza è un mix di Martini e Xanax, e il passato diventa una storia da raccontare a chiunque, ma soprattutto a sé stessi. Jasmine, infatti, parla a sconosciuti ma in realtà parla da sola, in quella che è, per così dire, una schizofrenia di disperazione. A questo punto tralasciamo la trama del film, per darvi la possibilità di scoprire da voi come si evolve il plot, e ci focalizziamo sulla protagonista e sui suoi problemi psicologici per capire meglio cos’è proprio la schizofrenia. Schizofrenia significa anzitutto non riuscire a vedere e a percepire la realtà: come Jasmine si ritira in un mondo proprio ed è incapace di gestire le proprie emozioni reazioni frustrazioni, allo stesso modo chi soffre del suo stesso disturbo si comporta e reagisce ugualmente. Ma c’è da precisare: in primo luogo un disturbo mentale non identifica la persona che ne è affetta (anche se a dire il vero la schizofrenia è tanto invalidante da far perlomeno offuscare la personalità dei soggetti in questione); in secondo luogo, dato che proprio la personalità di base varia da individuo a individuo, ogni forma di schizofrenia è diversa. Se Jasmine ad esempio parla da sola, non tutte le persone soggette al suo stesso disturbo psichico è detto che lo facciano, tutt’altro.



I sintomi della schizofrenia possono essere diversi, si va dalle alterazioni della percezione, a quelle del pensiero a un’affettività appiattita e spesso fraintesa per noia, nemmeno ennui. E se ci allacciassimo a questo punto al decadentismo ottocentesco, si potrebbe a questo proposito parlare piuttosto di Spleen.


È forse, infatti, la schizofrenia un’angosciante male di vivere, in cui regnano alogia (mancanza di logica), abulia (mancanza di volontà), deficit cognitivi (riguardanti memoria, attenzione, funzioni esecutive)e appiattimento affettivo. Oltre a disturbanti deformazioni della realtà, come si è detto: si passa dalle allucinazioni ai deliri, dal comportamento bizzarro a disturbi formali del pensiero (quali mancanza di coesione tra idee, dunque mancanza di coesione tra frasi in un discorso). Per Jasmine, ad esempio, risulta difficile frenare pensieri intrusivi riguardanti il suo disgraziato passato e, per questo, attua alcuni cosiddetti ‘comportamenti bizzarri’ in risposta - la già menzionata sfrontatezza nel mettersi a nudo verbalmente con perfetti sconosciuti. Tuttavia Jasmine conserva una percezione di realtà, che è appunto il suo passato, e possiede, nonostante tutto, la volontà di ricominciare (come si vedrà nella pellicola). Ma vediamo più a fondo i sintomi di questo disturbo psichico: secondo le classificazione di Andreasen e Olsen (1982), è possibile distinguere i già menzionati deliri, allucinazioni, comportamento bizzarro e disturbi formali del pensiero da alogia, abulia, deficit cognitivi e appiattimento affettivo. Il primo gruppo corrisponde ai cosiddetti ‘sintomi positivi’ - denominati così perché rispondono relativamente bene ai farmaci -, mentre il secondo gruppo costituisce i ‘sintomi negativi’ e sono i deficit delle normali risposte emotive o di altri processi di pensiero. Questi ultimi rispondono meno bene ai farmaci, ma soprattutto sono caratteristiche di una malattia spesso fraintese, considerate gli effetti di una mancanza di volontà, seppur quantomeno pronunciata, ma non riconosciuta come faccia della medaglia di un disturbo psichico che è, si ricorda, invalidante e particolarmente problematico. È bene inoltre ricordare, soprattutto a titolo informativo, che sono stati individuati cinque sottotipi di schizofrenia: la schizofrenia paranoide, quella di tipo disorganizzato, quella di tipo catatonico, la schizofrenia di tipo indifferenziato e infine quella di tipo residuo. Ogni categoria è tuttavia priva di stabilità diagnostica, così come di affidabilità in campo e psicologico e psichiatrico. Questi sottotipi, dunque, non sono formalmente riconosciuti nel DSM 5 (Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders, Quinta edizione), proprio perché non hanno dato riscontro di possibili pattern terapeutici distinti l’uno dagli agli, né di un effettivo decorso a lungo termine. Per capire meglio Jasmine si potrebbe però, ad esempio, analizzare il suo profilo psicologico e tentare di ricondurlo a queste pseudo macrocategorie: Jasmine potrebbe a questo proposito essere probabilmente associata alla schizofrenia di tipo disorganizzato, che è caratterizzata da disorganizzazione, appunto, del linguaggio e del comportamento, con inadeguatezza e appiattimento dell’affettività, infine compromissione cognitiva. Cosa significa tutto ciò? Per Jasmine, in parole povere, significa confusione mentale, disagio, instabilità emotiva ed affettiva. Ma vediamo anche le altre tipologie: a differenza di quella di tipo disorganizzato, ad esempio, la schizofrenia paranoide presenta caratteristiche del tutto diverse. Non più comportamento e linguaggio disorganizzato, né affettività inadeguata, ma soprattutto deliri ed allucinazioni, spesso seguite da emozioni intense, quali rabbia e conseguente violenza. Per quanto riguarda il tipo catatonico non mi soffermerò nello specifico sulle possibili declinazioni (che trasferirebbero il discorso ad un livello prettamente tecnico); è doveroso ricordare però come in questo tipo di schizofrenia siano diversi i rischi che si incorrono a livello motorio, siano questi legati all’eccesso o, al contrario, all’ insufficienza estrema. Le due restanti tipologie, il tipo indifferenziato e quello residuo, sono il risultato della già menzionata inaffidabilità di questa categorizzazione: il primo viene solitamente diagnosticato laddove le i parametri dei precedenti tipi non compaiono nel quadro clinico, mentre il secondo è caratterizzato da una permanenza del disturbo nonostante i sintomi psicotici si manifestino in maniera quasi sbiadita.


A questo punto, una volta riconosciuti i sintomi e gli effetti, viene spontaneo chiedersi ‘È possibile uscirne? Si può guarire?’. La risposta è sì, ma c’è un se. Si guarisce se (ovvero una volta che) il paziente collabora, riconosce il proprio malessere, e in quanto malessere dovuto a una dispercezione della realtà, è disposto a ritrovare quest’ultima. Dunque non più, come si passava in passato, una malattia senza vie di uscita, incurabile, ma un disturbo che come tale può trovare lenitivi, e non solo a livello psichiatrico. È fondamentale ricordare, infatti, quanto sia limitante tentare di gestire il disagio psichico attraverso gli psicofarmaci - è quello che tenta di fare Jasmine, naturalmente senza risultati. In particolare, ansiolitici e alcol (per la nostra beniamina il cliché aristocratico di Xanax e Martini) rappresentano la deriva della psiche: è come tamponare un’emorragia con un cerotto.

D’altronde, in ogni caso, il supporto farmacologico è spesso utile, se non indispensabile, ma è da associare a un ancor più indispensabile supporto terapeutico. La psicoterapia, infatti, aiuta il paziente a prendere coscienza dei propri singolari sintomi, oltre a, cosa ancora più importante, far ritrovare quella spesso offuscata o addirittura perduta personalità. Blue Jasmine non poteva infine essere titolo più efficace: quel feeling blue che è un percepire un vuoto, una mancanza, è l’avere un vuoto dentro difficile da colmare, una tristezza che attanaglia: e cos’è, se non proprio questo, l’accorgersi di aver perduto una parte di sé stessi? Schizofrenia è anche disperazione, è anche questo



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