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Immagine del redattoreFrancesca Spagnoli

C'è un bug nel sistema

“Errare humanum est”.

Tutti sbagliamo. È naturale ed è giusto: se non lo facessimo, infatti, non ci sarebbe bisogno né di imparare né di andare a scuola. Ogni errore, poi, ha una sua conseguenza, negativa o positiva che sia.

Associamo i primi errori dell’infanzia ai rimproveri e alle urla della mamma, quelli del periodo scolastico a un frego rosso o a un voto basso. Crescendo, purtroppo, le conseguenze dei nostri errori sembrano diventare sempre più gravi, anche se, e non dobbiamo mai dimenticarlo, c’è sempre qualcosa di positivo negli sbagli: gli insegnamenti.

Ma, tornando al latino... siamo sicuri che sbagliare sia solo tipico dell’uomo? E gli animali? Chi ha un gatto sa sicuramente che questi piccoli animali sono dei veri e propri diavoletti e riescono a farne di tutti i colori!

E le macchine? I computer? Avete mai sentito dire “c’è un bug nel sistema”?

Di solito si utilizza questa espressione per indicare un malfunzionamento del computer, dovuto ad un errore nella scrittura dei programmi. Ma come mai utilizziamo la parola inglese "bug", “insetto”, per identificare un problema elettronico?

Troviamo il primo utilizzo di questa espressione nel diario di lavoro di un ammiraglio statunitense, Grace Hopper, che, alla pagina del 9 settembre 1947, riportò la seguente frase: “First actual case of bug being found” accompagnata da una falena incollata sotto.

In che senso “era il primo caso di un reale ritrovamento di un insetto”?

Ci troviamo nel 1947, nel laboratorio della marina militare statunitense.

“Tenente Hopper, controlli la programmazione di ieri sul Mark II”

“Agli ordini, comandante”

“Si calmi Hopper, sono solo il fisico Howard. Si ricordi anche di trascrivere tutti i progressi sul diario di lavoro alla data di oggi, 9 settembre. Questo computer elettromeccanico non è ancora molto affidabile, potremmo perdere tutto il nostro lavoro su Mark II da un momento all’altro”

Howard l’aveva proprio gufata.

Grace cercava di accendere il computer, invano, da circa dieci minuti. Non poteva deludere il collega in questo modo. Decise allora che avrebbe smontato Mark II e, una volta svitate le sedici viti, fu tutto chiaro: una falena si era intrufolata tra i circuiti del computer attraverso le vie di raffreddamento, probabilmente attratta dal calore. L’operazione di estrazione della falena, fortunatamente, fu rapida e indolore. Il piccolo insetto non aveva fatto alcun danno e il Mark II ricominciò a funzionare anche meglio di prima.

L’Harvard Mark II fu completato prima del 1948, pesava 23 tonnellate e, nonostante le sue dimensioni, aveva dei tempi di reazione molto più lunghi rispetto ai nostri computer moderni. Per fare un esempio, provate a calcolare 2⁷ sulla vostra calcolatrice, ci metterà un secondo! Il Mark II impiegava invece almeno 8 secondi! In ogni caso, non dobbiamo denigrare il buon vecchio Harvard Mark II, perché, senza di lui, non ci sarebbe nemmeno il computer con cui sto scrivendo adesso.

In conclusione, se anche una macchina creata ad hoc per prendere il posto dell'umano imperfetto per essere invece impeccabile e precisa, a volte commette degli errori, forse dovremmo rilassarci e non farci prendere dalla paura di scegliere la strada sbagliata nelle decisioni di tutti i giorni. Perché, come si suol dire, "errare omnium rerum est".

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