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Dante e i neologismi: quando le parole superano la realtà



Dante Alighieri, il sommo poeta di cui quest’anno si celebrano i 700 anni dalla morte, è considerato unanimemente il padre della lingua italiana: scegliendo di scrivere la Divina Commedia in volgare anziché in latino, ha elevato il volgare fiorentino del 1300 e ha realizzato le fondamenta da cui è nata la lingua italiana. All’interno della Commedia Dantesca troviamo versi famosissimi, popolari e conosciuti da chiunque; quello che non tutti sanno è che Dante fu anche il più grande inventore di neologismi italiani. Il poeta fiorentino ha creato centinaia di parole: da termini che ancora oggi sono rimasti in uso come fertile o molesto ad altri un po’ più astrusi come donneare (subire il fascino delle donne, fare la corte) o disvicinare (allontanarsi).


Questa curiosa attività ci fa capire tantissimo dell’incredibile lavoro realizzato dal poeta, della sua unicità e della sua innovazione, al di là dei contenuti dell’opera stessa. Sembra quasi che Dante si divertisse a creare parole nuove, e non solo per scelta stilistica, ma per superare i limiti imposti dalla lingua ed esprimere concetti fino ad allora inesprimibili.


Per usare un termine inventato da lui, Dante riesce a far trasumanare (elevarsi oltre i limiti della natura umana) le parole, e spesso lo fa creando verbi composti da nomi o aggettivi preceduti da in- e seguiti da –are. Andiamo a vederne alcune che ritengo dovremmo riscoprire perché particolarmente belle o interessanti.


In questo periodo di pandemia, in cui il presente regala ben poche soddisfazioni, l’unica via d’uscita dalla noiosa quotidianità è infuturarsi (essere proiettati nel futuro) progettando e sognando un ritorno alla normalità. Imparadisare (riempire di una gioia o dolcezza simile a quella del paradiso) è un termine che Dante rivolge ovviamente a Beatrice, onnipresente musa che ‘mparadisa la mia mente’ ma potremmo riutilizzarla per celebrare amori anche meno eterei e più terra terra rispetto a quello che faceva rimuginare il sommo poeta.


Indracarsi (diventare feroce come un drago) è un termine che Dante utilizza verso gli Adimari, la famiglia che si prese alcuni dei beni confiscati al poeta durante l’esilio, ma potrebbe essere riletta al giorno d’oggi in chiave pop: sembra quasi essere un termine romanaccio, potrebbero riutilizzarlo comici italiani come Carlo Verdone.


Certo, altre volte Dante tende a strafare, soprattutto in certi termini che troviamo nel Paradiso, luogo immateriale e ineffabile in cui spuntano verbi come inluiarsi, inleiarsi, intuarsi, inmearsi. Tanto che troviamo frasi spiazzanti come ‘s’io m’intuassi come tu t‘inmii’ … Però a pensarci bene anche questo è un concetto molto bello, l’idea di entrare nel cuore e nella mente dell’altra persona (al di là del significato dantesco che genericamente vedeva Dio come soggetto) non viene espressa in altri termini italiani, e meriterebbe di essere recuperata.


Le parole inventate da Dante sono veramente tante, e qui mi sono fermato a pochi termini particolarmente significativi. L’importanza che il poeta fiorentino ha per la storia d’Italia e della lingua italiana non ha eguali: è riuscito a superare i limiti temporali, territoriali e religiosi, realizzando un’opera eterna. Grazie alla Divina Commedia, Durante Alighiero degli Alighieri detto Dante, è riuscito a insemprarsi (durare per sempre) e ad essere il padre di tutti noi.


PIETRO MINI


Fonti: Divina Commedia, Enciclopedia Dantesca Treccani

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