Una melodia che ti fa sentire come un bambino, in una storia di quelle che ti racconta la mamma prima di raggomitolarti piccolo piccolo sotto le tue copertine. Così inizia Man in the Mirror, così Michael Jackson, che fra le tante cose è stato anche un artista, introduce una di quelle canzoni che lo hanno reso, tra accuse ed elogi, una delle persone più conosciute, ambigue ed amate dei secoli ventesimo e ventunesimo.
Inserita nell’album Bad (il settimo dell’artista), pubblicato il 31 agosto del 1987, ed estratta come singolo nel gennaio 1988, Man in the Mirror è uno di quei pezzi che, se non hanno fatto la storia, hanno sicuramente impattato, scuotendolo, lo stato d’animo dei loro ascoltatori. E, comunque, ha fatto anche la storia.
Quando si pensa all’anima della canzone, alla melodia giovanile e spiritosa, al contenuto profondo, a tratti poetico, con cui si presenta Man in the Mirror, uno può dire “Certo che è bella, è Michael Jackson, che ti aspetti!”; ma non è esattamente così. Il testo e parte della composizione, che sono già quasi tutto di una canzone, sono stati in gran parte proposti da Siedah Garrett e Glenn Ballard (quest’ultimo musicista e produttore discografico). Garrett, cantautrice R&B statunitense ancora in attività, originaria di Los Angeles, California, classe 1960, compare nell’album Bad, oltre che come una delle seconde voci in Man in the Mirror, anche in un duetto con Jackson, dal titolo I just can’t stop loving you. Tra i suoi vari successi, Garrett ha anche ricevuto ben due nomination agli oscar, nel 2007 e nel 2014, in quest’ultimo anno con la canzone “Real in Rio” per il film d’animazione “Rio” (forse familiare per qualcuno di noi). In un’intervista rilasciata alla stazione radiofonica WBLS (New York) nel 2017, Garrett ha raccontato di come le fu richiesto da parte di Quincy Jones, produttore discografico dell’album Bad, di elaborare il testo di una canzone che potesse completare definitivamente l’album. “Però bisogna fare un salto indietro di due anni”, dice Garrett. “Sono a casa di un amico per una sessione di scrittura, e ad un certo punto il telefono squilla, e lui risponde. Inizia una conversazione qualunque. Io, intanto, scorro il mio quaderno dei testi, e nella mia testa sto bollendo, e mentre faccio questo lo sento dire ‘L’uomo! Quale uomo? Oh, l’uomo nello specchio…’, e scrivo ‘man in the mirror’. Due anni dopo, poi, sono a casa di Glenn, e lui, a un certo punto, si lancia sulla tastiera per suonare qualcosa a caso, e inizia con quel ritmo… Mentre suona io sto scorrendo il quaderno e la frase ‘man in the mirror’ letteralmente esce dalla pagina, e non riesco più a smettere di scrivere, e gli dicevo ‘Per favore aspetta!’E venne tutto fuori in 10-12 minuti. Poi il venerdì l’abbiamo registrata, a Jones è piaciuta, e alla fine ho incontrato Michael Jackson grazie a questa canzone.”
È quindi errato attribuire a Jackson la totalità di Man in the Mirror. Ma è impossibile negare il suo contributo personale, autentico, vibrante di vita, che dopotutto caratterizza il suo splendido stile. Basta andare ad ascoltare per capire; i suoi spasmi, quel suo essere quasi preda della canzone, quella sua energia che anche da due auricolari riesce a farti ballare dentro. Davvero.
Ma cosa ha questa canzone di speciale, precisamente? Beh, se uno si prende il tempo di guardare il video ufficiale, realizzato con diversi filmati storici, un po’ lo capisce. È un inno alla potenza umana di cambiare. Mostra i dolori di un’America razzista, le storie di violenza contro gli afroamericani, l’orrore del Ku Klux Klan, la forza di M.L. King e J.F. Kennedy. Compaiono sacerdoti, eserciti, bambini affamati, senzatetto, uomini e donne di pace. E tutto tra le note sempre più incalzanti che coronano una frase pronunciata con ritmo serrato e tagliente: “Se vuoi rendere il mondo un posto migliore, dai un occhio a te stesso, e crea il cambiamento”.
È questa una delle molte occasioni in cui la persona di Michael Jackson arriva a confrontarsi, più o meno direttamente, con temi fondamentali della storia e della realtà umana, che qui vengono dipinti in una cornice di speranza, disillusione, e lotta per la vita. Un ritmo quasi di favola per bambini, che si trasforma in una danza energica per le possibilità dell’essere umano, una danza di comprensione e di responsabilità.
“Come sistemo il colletto del mio giubbotto invernale preferito, questo vento mi soffia la mente. Vedo i bambini per strada, senza il necessario per mangiare; chi sono io per essere cieco? Facendo finta di non vedere i loro bisogni. Una noncuranza estiva, una bottiglia rotta in cima, e l’anima di un uomo solo: sai, si seguono l’un l’altro nel vento, perché non hanno dove andare. […]. Un salice profondamente graffiato, un cuore infranto, e un sogno fallito. Seguono il sentiero del vento, vedi, perché non hanno luogo di essere. Per questo inizio da me!”
E anche dopo la morte del “re del pop”, il tema della canzone entra nell’immaginario di coloro che lo ricordano. Uno degli esempi è ancora nel campo della musica. Il cantante Akon, con il quale Jackson registrò il singolo Hold My Hand nel 2007, due anni prima della morte, avvenuta nel 2009, ricorda il “re del pop” con un tributo dal titolo Cry out of Joy: “In questa vita ti voglio ringraziare per avermi mostrato l’uomo nello specchio; in questa vita, ti voglio ringraziare, hai motivato il mondo intero a donare.”
Le vicende di quel Michael Jackson sono varie e talvolta controverse. Certo è però che, in qualche modo, si tratta di un uomo che ha cambiato tante cose, e Man in the Mirro rè una delle storie più belle che ci ha lasciato insieme a Garrett e Ballard, una storia che, per cinque minuti, vale la pena ascoltare. Un invito a tutti noi, che oggi può essere esteso all’America appena svegliatasi dalle elezioni presidenziali, di guardarsi allo specchio, chiedere di cambiarsi, e con entusiasmo ripartire da sé stessi, qualunque cosa possa voler dire per ognuno.
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