Il razzo cinese Lunga Marcia 5B, col suo rientro incontrollato sulla terra, avvenuto lo scorso 9 maggio, ha nuovamente portato l’uomo a riflettere su come egli stia “colonizzando” materialmente l’orbita terrestre, dunque sul problema relativo alla cosiddetta “spazzatura spaziale”, agli errori umani di programmazione e quindi di controllo sulle tecnologie in orbita. Prima del razzo, era stata la collisione sfiorata tra la navicella Crew Dragon di Space X e un detrito spaziale nel percorso di avvicinamento alla Stazione Spaziale Internazionale a lanciare l’allarme riguardo alla sostenibilità dello spazio come risorsa da proteggere, nonostante la sua immensità.
Si sa, la tecnologia, frutto del lavoro, dei progetti e dell’ambizione progressista, talvolta cieca ed egoista, dell’essere umano, ha conosciuto un’evoluzione rapida e furente, seguendo un’accelerazione nel ritmo di sviluppo impressionante. Cambiamenti epocali, dal secondo dopoguerra, si sono susseguiti in ambito tecnico-scientifico, andando ad influire e a modificare in primis la mente umana, quindi la vita in sé (nelle zone più benestanti e sviluppate del mondo, purtroppo denotazione di una ancora marcata differenza tra “Terzo Mondo” e i restanti paesi). Una continua sete di arricchimento e di potere sulla natura e sui vicini di casa, come a voler ribadire la forza di una nazione sulle altre limitrofe. Un’incessante lotta allo scettro delle manovre economico-politiche che governano il globo. Tuttavia, alle innovazioni introdotte dalle generazioni, si sta riscoprendo un problema di gestione di esse: l’uomo crea ma perde progressivamente il controllo sul creato. Ed è questo che sta avvenendo non solo sulla Terra, ma anche attorno al pianeta.
Siamo abituati a pensare al cielo come a un luogo incontaminato, abitato da stelle e corpi celesti. Ma questa visione romantica non tiene conto delle centinaia di migliaia di detriti, che ogni anno vengono immessi nell’orbita terrestre. I rifiuti spaziali sono perlopiù costituiti da frammenti di dispositivi ormai non funzionanti. Il numero di apparecchiature è in costante crescita, come le esplosioni e le collisioni, anche a migliaia di chilometri orari. Immaginare un mondo senza satelliti è impossibile: nessun GPS, niente TV satellitare, internet a passo di lumaca. Insomma, tutto il mondo digitale sarebbe compromesso. Quando, nel 1957, fu lanciato Sputnik 1, satellite sovietico (con la relativa contesa allo spazio tra Unione Sovietica e Stati Uniti in piena guerra fredda), il primo nella storia a entrare nell’orbita terrestre, non si pensò alle conseguenze degli apparecchi in disuso. Ma con l’accumulo decennale, lo spazio di transito è stato occupato da quelle che potremmo definire “carcasse in viaggio”. Ogni anno, secondo analisi e monitoraggi recenti dell’ESA (European Space Agency) si verificano, in media, dodici cosiddette “frammentazioni accidentali”, dovute a esplosioni, problemi elettrici o, addirittura, distacco di componenti di satelliti, sonde, pannelli solari, razzi e navicelle. I numeri sono impietosi: i rifiuti spaziali hanno raggiunto una massa complessiva di 9300 tonnellate. Sono 11370 i satelliti portati in orbita terrestre di cui 6900 sono ancora nello spazio, funzionanti 4000. 34.000 sono i detriti più grandi di 10 cm e oltre 28.000 sono quelli monitorati costantemente perché pongono un serio rischio per le attività umane e per i satelliti attualmente in orbita.
Tuttavia L’ESA, come conferma l’Agenzia sul suo sito, sta lavorando attivamente per supportare le linee guida per la sostenibilità a lungo termine delle attività spaziali del Comitato delle Nazioni Unite per gli usi pacifici dello spazio. Il piano include il finanziamento della prima missione al mondo per rimuovere parte dei detriti dall’orbita e la prevenzione delle collisioni.
Non è comunque banale seguire tali rifiuti: i più ampi di diametro sono i più facili da rintracciare, mentre ostica l’individuazione di quelli con misure più esigue. Sebbene le grandezze possano apparire irrisorie, si pensi alla loro velocità di crociera: circa 42 mila chilometri orari. Adesso sì che è possibile comprendere quanto un detrito possa essere pericoloso e scatenante, tramite collisione con un altro apparecchio spaziale, di altri frammenti.
Ripetiamo, l’uomo crea, perde il controllo, trova una pezza per rimediare ai danni e alle conseguenze prese sottogamba (o neanche ipotizzate) al momento della progettazione. Ergo sorge l’idea di una cura per pulire e rendere più sicuro lo spazio. Se pensiamo alla spazzatura nelle nostre città, ecco che subito si materializza nella nostra mente il servizio di nettezza urbana, che ha il compito di lasciare le strade pulite. Allo stesso modo, per lo spazio entrerà in funzione ClearSpace, un vero e proprio spazzino, che si occuperà di rimuovere l’oceano di immondizia che fluttua e corre intorno alla Terra. Così, nel 2025 inizierà la prima missione di raccolta e pulizia.
Tuttavia, nonostante il quadro critico, l'attività spaziale, soprattutto in bassa orbita, sta crescendo in maniera esponenziale. L’ESA ha perciò avviato lo sviluppo di nuove tecniche basate sull'Intelligenza Artificiale per l'individuazione automatica di potenziali collisioni tra oggetti nello spazio, in previsione dell'aumento vertiginoso dell'affollamento attorno alla Terra. Ma con il tasso di crescita attuale, in pochi anni, le vigenti misure per la prevenzione delle collisioni non saranno più efficaci. Necessitano strumenti con maggiori capacità di volo autonome, ma anche nuovi sistemi per la riparazione e manutenzione dei satelliti, con la possibilità di allungarne la vita operativa e quindi riducendo la necessità di nuovi lanci in orbita. Ma occorre agire subito.
Ultimo tra gli inconvenienti, il famigerato e discussissimo razzo cinese, un “bestione” da 20 tonnellate, che, dopo il toto “dove si andranno a schiantare i frammenti del missile” una volta entrato nell’atmosfera, in un clima di incertezza che ha coinvolto anche il Sud Italia, è piombato nell’Oceano Indiano, a nord delle Maldive, all’alba di domenica 9 maggio, senza causare danni. Ed è proprio su questo aspetto che l’attenzione mediatica si è concentrata, gonfiando le ipotesi, a fronte di percentuali probabilistiche irrisorie (nell’ordine dello zero virgola), di caduta su zone abitate. Emergenza scampata? Sì e no. Da una parte madre natura subentra in nostra difesa: la densità dell’atmosfera fa da scudo alla Terra, implicando lo sgretolamento al momento dell’impatto di eventuali masse tecnologiche, chiaramente non progettate per resistere all’urto a velocità incontrollate. In più è da ricordare che il 71% (di cui il 97% è rappresentato dagli oceani) della superficie del globo è ricoperta di acqua. Dall’altra abbiamo un’autentica discarica extra terrestre, e qualche rara pioggia di rifiuti che, indipendentemente da dove vada a precipitare, non può non essere che un surplus di inquinamento (sebbene poco influente rispetto a quello già presente) per il nostro pianeta.
Stiamo sfruttando perciò una parte dell’universo, contaminandolo di oggetti, alcuni dei quali indispensabili per i servizi di vita quotidiana. Non dico che sia per forza negativo: pregiudicare il progresso umano andando a criticare le invenzioni sarebbe errato. Più che le invenzioni, sono i metodi di uso, gestione e previsione delle conseguenze a dovere far riflettere.
Quindi? Chi l’ha detto che l’interstellare sia di proprietà dell’essere umano? Lo lasciamo in condizioni così pietose? Un po’ di rispetto per un luogo di nessuno. Sarebbe come distruggere la casa di chi ci ospita. Rispetto e attenzione per ciò che è lontano, ma mai come ora ci è stato vicino.
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