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Immagine del redattoreTommaso Massai

E se dopo il lockdown non avessimo più voglia di uscire?


I primi giorni dello scorso Marzo rimarranno ben impressi nella mente di ognuno di noi. Il silenzio assordante di una Firenze che si svuota di turisti contrapposto all’imperativo di non doversi fermare con tanto di hashtag, feste private e aperitivi. In questo clima classico da quiete prima della tempesta, rimasi colpito dal messaggio che scrisse a noi ragazzi Luigi Dei, rettore dell’Università di Firenze nel frattempo chiusa insieme ad ogni tipo di istruzione.

"[...]Create delle chat su WhatsApp, ridete, scambiatevi foto, ascoltate musica, guardate film, fate come se foste in un pub o una discoteca, ma state distanti a chilometri, non a metri! [...] "

Solo un pezzo del discorso di un uomo ben previdente che aveva capito (prima di tanti altri) la gravità della situazione. Ma non posso negare di essermi fatto una mezza risata dopo aver letto la sua mail. Mi suonò alquanto bizzarro che la persona di riferimento per i miei studi mi dicesse di passare la giornata a divertirmi immerso tra chiamate canzoni e film, che in poche parole vuol dire alternare divano, letto e divano.

Tempo pochi giorni e il lockdown è arrivato, e noi giovani lo abbiamo accettato. Abbiamo rispettato le regole, come tutti. E ora che tutto ciò sta tornando, continuiamo ad accettare. Abbiamo rinunciato ad allenarci, ad andare a scuola, ad andare a cena in più di sei e poi in più di 4. Abbiamo anche assorbito il fatto di esser considerati i principali diffusori del Virus, i "portatori sani", quelli "della movida".

Insomma, siamo snaturati da mesi, continueremo a esserlo come se fosse normale.

Ma nel frattempo che cosa ci sta succedendo?

  • Abbiamo adottato il rispetto assoluto delle regole in nome della salute grazie a un senso infinito di rigore o perché siamo stati abituati a ottenere le cose senza faticare, senza neanche ribellarci?

Ci stiamo comportando esattamente come le parole nella mail del rettore. E, diciamocelo, a molti non pesa poi così tanto. Alcuni sembrano addirittura preferirlo. Per non portare il Covid in casa tanti ragazzi hanno scelto di riprendere le lezioni solo in modalità a distanza, ammettendo una comodità maggiore. E via via le aule hanno cominciato a svuotarsi, fino a arrivare a lezioni con solo 5-6 ragazzi e 40 computer connessi, e molti corsi chiusi con meno del 10% della frequenza. Altri hanno scelto di non continuare attività di volontariato o altri servizi che facevano, dall'educatore in parrocchia all'allenatore di calcio "per non rischiare, ma mica di prenderlo il virus, di attaccarlo… e poi comunque il dpcm dice di fare solo le cose essenziali". Già, come se dovesse essere un foglio di carta e non me stesso a decidere cos'è essenziale nella mia vita. Chiusi gli sport non è ancora tornata la moda di andare a correre, non è più alternativo metterlo su Instagram. Nelle ultime settimane (paradossali anche queste, più dello stesso lockdown), con il picco dei casi, è scoppiato il terrore di finire in quarantena. È stato obbiettivamente difficile vivere i propri impegni senza difficoltà. Il mondo esterno di certo non ti esortava a farlo. E quando vedi una discreta parte di una società che non ha voglia di rischiare andare a prendersi uno spritz (prima delle 18 eh) capisci che qualcosa non sta andando.

Come ne usciremo? Saremo in grado, finita l'emergenza di sto maledetto virus, di riprenderci finalmente la nostra cara giovinezza o continueremo a non sforzarci? Ognuno adesso è chiamato a guardarsi dentro e a capire quello che davvero vuole. Perché, di sicuro, il tempo non manca.

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