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Emozioni difficili da spiegare

"Da sempre si crede che dando un nome ad un'emozione questa diventi meno 'aggressiva'. Soprattutto per quanto riguarda le sensazioni spiacevoli e dolorose, nominandole diventano un po' più gestibili".

Così afferma la psicologa Tiffany Watt Smith, ricercatrice al Centre for the History of the Emotions della Queen Mary University di Londra: attraverso queste parole, la studiosa introduce e spiega lo scopo del suo libro The book of Human Emotions (in italiano L’atlante delle emozioni umane), pubblicato nel 2015, in cui sono presentate 156 espressioni linguistiche bizzarre a cui corrispondono altrettante emozioni particolari, difficili da definire in modo chiaro e conciso.

L’opera, a metà tra psicologia cognitiva e filosofia, ruota attorno all’intelligenza emotiva e attribuisce una forte importanza al saper riconoscere gli stati affettivi interiori e al valorizzare l’empatia, necessaria per tentare di ascoltare e comprendere le emozioni altrui. Saper dialogare con noi stessi e con i sentimenti che ci pervadono, come primo step per una pacifica esistenza nella nostra intimità; quindi, raggiunto l’equilibrio interiore, in totale libertà e consapevolezza del proprio sentire, comunicare con il mondo esterno e ascoltare chi e cosa ci circonda: questo è uno degli esercizi che si possono rintracciare anche in un percorso di terapia. Di fatto, dare un nome a un’emozione significa formalizzarla in modo da renderla più leggibile. Non sempre è facile riuscirci: Celentano direbbe che “l’emozione non ha voce”. La Smith, tuttavia, arriva in nostro soccorso, raccogliendo una voce per ciascuno stato affettivo inespresso, attraverso termini provenienti dalle più svariate lingue del mondo, specchio della varietà di società e culture che fortunatamente colorano ancora il nostro pianeta, benché sia in crescita il tasso di idiomi in via di estinzione (il 60% circa delle lingue è a rischio; 1700 lingue hanno meno di 1000 parlanti).

Il lavoro di Tiffany Smith, più che un atlante, si predispone come un’enciclopedia, che riunisce “definizioni” di molte emozioni tramite un largo ricorso a storie, aneddoti, riferimenti che vanno dall’antropologia alla letteratura, dalla cultura pop alla filosofia, il che ci permette di individuare una caratteristica essenziale dell’essere umano in quanto tale: il bisogno di raccontare e vivere storie. Narrazioni che si rendono indispensabili, poiché definizioni scientifiche a ‘mo di dizionario non sembrano sufficienti per esprimere tutto il patrimonio culturale che predispone certe società a percepire determinate emozioni con valenza positiva o negativa rispetto ad altre. Il discorso è valido anche in senso diacronico: stati interni, come ad esempio l’apatia, hanno avuto valenze diverse a seconda della fase storica. Quindi appare evidente come gli stati affettivi (e il vivere la percezione di essi) non siano universali.

Ciò che è globale è invece il ruolo strumentale assolto dalla sfera emotiva: le emozioni sono fondamentali nella comunicazione, anche se non sempre hanno una loro realizzazione verbale nel sistema linguistico... o almeno non in tutte le lingue. Ecco alcune parole straniere che descrivono sentimenti “inspiegabili” (cioè, in questo caso, non riducibili a un sostantivo univoco, ma rappresentabili solo con giri di parole) dalla lingua italiana.



1) Awumbuk: è un sentimento simile ad una dolce malinconia. Il termine è utilizzato dai Baining, popolo indigeno della Papua Nuova Guinea, per indicare quella sensazione di vuoto che si prova quando parenti o amici se ne vanno dopo aver fatto visita. Per curare la nostalgia, i Baining mettono in atto un rituale: quando gli ospiti lasciano la casa, viene riempita una ciotola di acqua per assorbire la tristezza. Il giorno dopo l’acqua viene buttata e con lei tutte le energie negative.

2) Amae: parola giapponese che spiega il comportamento infantile di un individuo che cerca di indurre una figura autorevole, come un genitore, un insegnante o un superiore, a prendersi cura di lui, ottenendo attenzioni. È il frutto di una dipendenza affettiva: ne sono esempi il bambino che piange per essere preso in braccio, il paziente che si lamenta per ricevere cure più attente da parte del dottore.

3) Basorexia: dal francese “basier”, che significa “bacio”, è la brama di baciare qualcuno, indipendentemente dal fatto che la persona sia conosciuta o meno.

4) L’appel du vide: locuzione francese, letteralmente “il richiamo del vuoto”, è una sensazione oscura assimilabile ad una forza istintiva che per una frazione di secondo vorrebbe spingerci nel baratro. In particolare, è quello stato affettivo che nasce quando, per esempio, di fronte ai binari ferroviari, ci sovviene in mente l’immagine di noi che saltiamo nel momento in cui sfreccia il treno. 5) Malu: è l’imbarazzo che si prova di fronte a una persona di rango più elevato, al cui cospetto è percepibile una sorta di timore reverenziale. Il termine pone le sue radici nella società indonesiana, dove il malu è un’emozione considerata appropriata perché basata sul rispetto nei confronti di figure autorevoli, nonostante possa essere emblema di disagio.

6) Saudade: in Portogallo, è la nostalgia volta al futuro, il rimpianto del tempo perduto ma anche l’angoscia di quello che verrà. È il desiderio per qualcosa che si è perso per sempre, ma anche per qualcosa che deve ancora arrivare e che forse non arriverà mai. È la tristezza del cambiamento che incombe, del domani che divora l’oggi. La saudade è il sentimento cantato dal fado e dal bossa nova portoghesi. Emozione ripresa e studiata in letteratura e in poesia da Antonio Tabucchi e Fernando Pessoa, in musica da Fabrizio De André.

7) Torschlusspanik: di origine tedesca, letteralmente significa “panico del portone che si sta chiudendo”. Forse una delle sensazioni più comuni ai giorni del Covid, è la sensazione che il tempo stia passando troppo velocemente, fino ad esaurirsi. È uno stato emotivo attraversato da ansia e angoscia per lo scorrere degli eventi, dalla paura di fallire nella vita. Assimilabile dunque a un orologio emotivo, che inizia a battere veloce e incessante, per avvertirci che forse dobbiamo prendere una decisione, affrontare un timore, riconciliarci con qualcuno, vivere appieno.

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