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"Essere o non essere, questo è il dilemma"


"Essere o non essere, questo è il dilemma”.

Tutti noi abbiamo sentito questa frase almeno una volta, a teatro come nella vita quotidiana, magari utilizzata per drammatizzare una qualsiasi situazione problematica. Ad esempio, in un momento di ansia prima di uscire con una persona, quando si passano ore davanti allo specchio per capire cosa indossare, perché sappiamo che la nostra apparenza determinerà una certa impressione e in qualche modo definirà noi stessi agli occhi altrui.

“Polo o camicia? Sportivo o elegante? Essere o non essere?”


C’è da dire però che il dilemma decantato da Shakespeare era molto più problematico di una banalità simile, per quanto drammatica essa ci possa apparire.

No, il dramma di Amleto era molto più complicato, esistenziale, ed è impossibile capirlo fermandosi soltanto al primo verso del suo soliloquio.


«Essere, o non essere, questo è il dilemma:

se sia più nobile nella mente soffrire

colpi di fionda e dardi d'atroce fortuna

o prender armi contro un mare d'affanni

e, opponendosi, por loro fine? Morire, dormire(...)

Dormire, forse sognare. Sì, qui è l'ostacolo,

perché in quel sonno di morte quali sogni possano venire

dopo che ci siamo cavati di dosso questo groviglio mortale

deve farci riflettere. È questo lo scrupolo

che dà alla sventura una vita così lunga.

Perché chi sopporterebbe le frustate e gli scherni del tempo,

il torto dell'oppressore, l'ingiuria dell'uomo superbo,

gli spasimi dell'amore disprezzato, il ritardo della legge,

l'insolenza delle cariche ufficiali, e il disprezzo

che il merito paziente riceve dagli indegni,

quando egli stesso potrebbe darsi quietanza

con un semplice stiletto? Chi porterebbe fardelli,

grugnendo e sudando sotto il peso di una vita faticosa,

se non fosse che il terrore di qualcosa dopo la morte,

il paese inesplorato dalla cui frontiera

nessun viaggiatore fa ritorno, sconcerta la volontà

e ci fa sopportare i mali che abbiamo

piuttosto che accorrere verso altri che ci sono ignoti?

(...)>>


Dalla lettura dell’intero soliloquio (o solo delle parti riportate qua sopra), in Amleto, atto III, scena I, si capisce che il dilemma shakespeariano non concerne l’essere ma l’agire. Sopportare le offese o ribellarsi? Sudare senza mai alzare un dito o evitare altre sofferenze scegliendo il suicidio? E infine, nello stretto caso di Amleto, vendicare il padre ucciso dallo zio usurpatore e dalla madre adultera o tacere?


E poiché il terrore del paese inesplorato ci fa temere la morte, per il nostro eroe non rimane altro che la ribellione.

L’esistenzialista Albert Camus, quasi 350 anni dopo Shakespeare, difenderà lo stesso punto di vista: di fronte all’Assurdo, si deve continuare a vivere, scegliendo la rivolta, la libertà, la passione. Ma questa è un’altra storia.


Tornando ad analizzare le parole di Amleto, è dunque interessante notare che col verbo “essere” ci si riferisca invece al verbo “agire”: come abbiamo detto prima, il dilemma concerne l’azione, ma con l’uso della forma “essere” si sottintende che ciò che si fa, ci rende ciò che siamo. Azione ed esistenza coincidono e possiamo ritrovare in questa idea un concetto dell’idealismo di Fichte (1762-1814), la Tathandlung, che in tedesco significa “azione e risultato dell’azione”. Il soggetto, (Amleto) “ponendo” sé stesso, attraverso lo scontro con l’oggetto (la vendetta e la ribellione contro le offese, lo scontro con lo zio e la madre), si autodefinisce e autoafferma. E poiché l’autocoscienza è alla base di tutte le attività conoscitive umane, finché il soggetto non si “contrappone”, esso non potrà definirsi. Senza l’azione quindi, l’uomo non è tale. Se non si vendicasse, Amleto non sarebbe Amleto.


Chiusa la parentesi filosofica, ecco spiegata la banale drammaticità delle scelte di outfit per un primo appuntamento. Perché, come ci insegna Shakespeare, se l’agire è il fondamento dell’essere, se sono le nostre scelte e le nostre azioni a definire chi siamo, allora non importa che si stia indossando una polo a righe o una camicia di seta: sarà solo come ci comportiamo a definire noi stessi.



Comunque una camicia troppo elegante io non la metterei.


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