Europei di calcio 2020. Difficile per un italiano non essere a conoscenza di questo preciso evento, soprattutto quest’anno. Soprattutto dopo che la squadra nazionale è riuscita a portarsi a casa il titolo.
Tanto è stato detto a riguardo, anche della squadra avversaria ma forse, riguardo a quest’ultima, è stato spesso tralasciato un dettaglio importante: certo, non stiamo parlando di qualcosa inerente all’ambito sportivo, ma di un fenomeno a cui, arrivati nel 2021, si spera sempre di poterci rivolgere al passato, peccato che ciò sembra non poter accadere poi così presto: il razzismo.
In seguito alla finale, infatti, alcuni giocatori dell’Inghilterra appartenenti ad una minoranza etnica, precisamente Marcus Rashford del Manchester United, Bukayo Saka dell’Arsenal e Jadon Sancho del Borussia Dortmund, hanno iniziato a ricevere insulti razzisti per aver sbagliato il loro calcio di rigore, decretando così la vittoria della squadra italiana.
Errore costato loro caro non solo online, dove molti utenti, anche anonimi, hanno iniziato a riempire i profili social dei tre giocatori di insulti ed emoji rappresentanti scimmie, ma anche offline.
Comportamento non condiviso e condannato dalla UEFA (Union of European Football Associations), la quale ha dichiarato di “sostenere la richiesta dei giocatori e della Federazione inglese per punizioni dure il più possibile”, sottolineando come tali commenti rivolti a Rashford, Sancho e Saka siano, al momento, oggetto d’inchiesta della polizia.
Tante sono le personalità di spicco intervenute. Tra queste troviamo il principe William d’Inghilterra, presidente d’onore della Federcalcio inglese, il quale si è unito, dopo il primo ministro inglese Boris Johnson, alla denuncia contro gli insulti razzisti verso i calciatori, affermando di “essere nauseato” e di quanto ritenga “inaccettabile che alcuni giocatori debbano subire questi comportamenti abominevoli”. Il membro della famiglia reale conclude il suo discorso evidenziando, inoltre, come questi episodi di razzismo debbano finire al più presto e come tutti coloro che ne siano responsabili debbano risponderne.
Nel Regno Unito, negli ultimi anni, c’è stato un costante aumento dei crimi d’odio contro minoranze etniche, religiose o addirittura contro persone appartenenti alla comunità LGBT. Ma tutto questo comprende una contraddizione: fino a che queste minoranze sono comprese all’interno di squadre vincenti, in particolar modo squadre nazionali, nel momento esatto in cui questi giocatori, di qualunque età ed etnia, segnano quelli che sono ritenuti “goal decisivi” per la vittoria, nessun insulto (o quasi) apparirà o sarà sentito nei loro confronti. Da sottolineare è, purtroppo, il quasi, proprio perché la “questione razziale” è ancora un tema tabù per molti, nonostante tutto.
Riguardo a quest’ultimo punto, gli Europei 2020 ci hanno “donato” tanti aspetti di cui parlare in ambito di ignoranza e ossessione nei confronti di quello che dovrebbe essere un evento di ritrovo e condivisione, nonostante pur sempre una competizione: uno degli esempi più recenti è il caso di Alice Campello, moglie del giocatore della nazionale spagnola (ed attaccante della
Juventus) Alvaro Morata, il quale ha commesso “l’orribile gesto” di segnare contro la nazionale italiana. Certo, ciò potrebbe lasciare l’amaro in bocca a ciascun tifoso italiano che si rispetti, ma questo non giustifica il comportamento avuto da alcuni di questi nei confronti dell’uomo che fino a qualche giorno prima idolatravano non appena segnava per la squadra bianconera. Non solo Morata, ma tutta la sua famiglia (da sottolineare che i figli hanno un’età massima di due anni, non che la cosa comporti alcun tipo di giustificazione), infatti, è stata minacciata attraverso messaggi minatori sui social indirizzati alla moglie Alice, la quale ha mostrato solo alcuni di questi utilizzando le sue storie Instagram, senza alcun tipo di censura. Messaggi come “tuo marito ha il cancro, i tuoi figli pure” o “se pubblichi una foto del goal fatto da tuo marito ti incendio casa” sono stati visibili sul profilo della Campello per ventiquattro ore (tempo dopo il quale le storie non risultano più visibili agli utenti), seguiti da un messaggio scritto dalla stessa: “sinceramente non sto soffrendo per nessuno di questi messaggi, davvero. Non penso nemmeno sia un fattore di “Italiani” ma di ignoranza. Penso però che se fosse successo ad una ragazza più fragile sarebbe stato un problema. Ricordiamoci che è uno sport per unire non per sfogare le vostre frustrazioni. Spero davvero in un futuro si possano prendere provvedimenti seri per questo tipo di persone perché è vergognoso e inaccettabile”. Parole che sarebbero dovute rimanere stampate e leggibili sul suo profilo per più di una semplice giornata, così come su quello di tutti noi, fino al momento in cui situazioni di questo tipo non si verifichino più.
Difficile è spiegare perché questo fenomeno sia ancora così diffuso; perché, secondo alcuni, la libertà di un giudizio negativo nei confronti di un’altra persona sia dovuta da un semplice aspetto fisico quale il colore della pelle, o semplicemente dalle proprie origini. Se non ancora, di quale squadra un qualsiasi giocatore faccia parte. Difficile perché in realtà insensato. E ancora la gran parte della popolazione non se ne è resa conto.
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