“Tutto quello che vediamo nasconde qualcosa, e noi vogliamo sempre vedere cosa è nascosto dietro ciò che vediamo. C’è un interesse in ciò che è nascosto, ciò che il visibile non ci mostra. Questo interesse assume la forma di una sensazione intensa, una sorta di conflitto, potremmo dire, tra il visibile che è nascosto e il visibile che è presente.” - René Magritte a proposito del suo dipinto Il figlio dell'uomo (1964)
Il cibo: nutrirsi, vivere. Il mio corpo: il mio sentire. Non voglio più mangiare. Non voglio più sentire. Eppure qualcosa mi divora dentro, e non è solo bisogno fisiologico, ma fame vera. Fame di vita. Una fame che non so placare. Allora forse apro il frigo, la dispensa, divoro tutto, tutto, poi mi sento terribilmente in colpa: mi metto un dito in gola ed espello quel tutto. Forse meglio un lassativo, un diuretico, per ogni caloria ingurgitata. Voglio eliminare tutto, voglio dimenticarmi di avere un corpo. O magari mi metto a correre all’impazzata per chilometri, o faccio ore di palestra improvvisata, di nascosto, perché mi vergogno per ciò che ho appena fatto, mi vergogno per come sono, mi vergogno di essere me. Brucio tutto. Brucia dentro. A volte quella fame non si placa, ma io mi sento impotente, senza speranza. Mi abbuffo, arrivano i sensi di colpa, ma lì restano, fino a divorarmi come io ho divorato la dispensa. Forse arrivano le lacrime, forse vi è solo silenzio. Anoressia, bulimia, binge-eating: ho paura del cibo e ho paura del mondo. Quando la normalità, la vita stessa, diventa allucinazione da cui non mi voglio far ingannare. Fuggo dalla fame fisiologica, perché non ho più voglia di vivere, ma allo stesso tempo rimane, silenziosa, una fame atavica, la fame di vita. Non so se sono affamata, non so se ho voglia di vivere, forse è meglio morire. Rimane tuttavia quello spiraglio, quell’attaccamento angosciante alla vita, quella perenne contraddizione interiore che mi rende instabile, che mi rende fragile. Voglio il controllo, perché dentro di me regna il caos. Perché nutrirsi? Io voglio scomparire, non voglio più sentire. Io sento tutto ‘troppo forte’. Tutto mi ferisce. Ho ferite che non si rimarginano. Mi sento come una foglia d’autunno caduta da un albero che si sta spogliando e che ora, sull’asfalto, si rassegna al suo destino: venire calpestata. Mi sento vetro incline alla rottura. Mi sento vulnerabile, in tutta l’accezione latina del termine.
Voglio anestetizzare tutto. Cerco qualcosa, ma non so che cosa. Cerco, chissà, la mia anima. E voglio lei soltanto, mia compagna di vita. Anche se questa non è vita. Indago chi sono. C’è qualcosa che mi separa dal mio percepire il mondo con il cuore, dal vederlo con gli occhi e con le mani. Mi guardo allo specchio: non sono io. Io sono altro. Mi tocco, tocco le mie cosce, i miei fianchi, le mie braccia, le guance: non sono questa deformità fatta di carne, non sono questa imperfezione. Perché avere un corpo se io posso vivere di altro? (Posso?)
Russia, 1919: nel 1917 è stata fatta la rivoluzione e ora il paese è scosso da una tremenda guerra civile. La gente muore di fame e di freddo. Eppure si riesce a vivere d’altro: di teatro.
“La gente fa arte con la stessa tenacia con cui cerca cibo e legna, scrive saggi e compone poesia. Ha perso la voglia di far l’amore ma non di scrivere e fare arte”.
Ecco, nel saggio La nascita della regia teatrale di Mirella Schino, si parla di teatromania, di fame di vita. Perché a volte l’anima ha più fame del corpo. E allora si pensa: ‘sfamiamoci d’altro’. Il cibo forse è superfluo. Io vivevo di libri, poesia, arte. Ma non vivevo. È vivere quando si perdono i capelli, quando si frantumano le unghie, quando crescono peli dappertutto, anche dove non dovrebbero crescere, quando si fa fatica a camminare, a pensare, a concentrarsi, a dormire. Non si dorme. La mente non è in grado di riposare. Vi sono pensieri ossessivi, costanti: ‘quante calorie ha quello che sto mangiando?’, ‘come posso smaltirle?’, perché di base ‘io voglio un corpo diverso’, anzi, ‘non voglio un corpo’. E come per i russi del primo Novecento, un freddo tagliente, incessante mi penetra le ossa (così fragili - la chiamano osteopenia, quando è grave precoce osteoporosi) e non ho voglia di fare l’amore. Non ho voglia di fare l’amore. Qualcosa si cristallizza, il mio cuore è in affanno, il mio utero, le mie ovaie sono annegati nel silenzio della stasi. Non ho le mestruazioni, non sono più donna. I miei ormoni non sono più reattivi, questo significa che i livelli di estrogeno sono ai minimi livelli. Questo significa, ripeto, che non ho più voglia di fare l’amore, non voglio il piacere orgasmico, così come rifiuto il piacere del cibo. Ma non voglio nemmeno la mia nudità, non voglio essere toccata, non voglio toccarmi, se so che quello sfiorarsi equivale a sentire qualcosa. Io non mi merito questo piacere, non merito di stare bene, non sono abbastanza, non valgo nulla. Non so se devo chiedere aiuto. No, ce la posso fare da sola. Devo sapermi controllare. Ho tutto sotto controllo. Io sto bene. Forse qualcuno ha notato che così bene non sto. Io in realtà vorrei gridarlo al mondo, vorrei urlare ‘non ho più forze e non ho più voglia’, né di vivere né di morire. Tantomeno di decidere quale sia la soluzione migliore. Perché anche adesso che so di dover chiedere aiuto dov’è la mia voce? Si sta facendo flebile tanto quanto le mie ossa si stanno facendo fragili. Mi sto spegnendo. È quello che volevo?
Torniamo alla Russia leninista, dove la situazione era totalmente diversa. Allora si trattava di sopravvivenza. Eppure io, dopo aver sofferto per due anni di anoressia nervosa, per un anno di bulimia e di binge-eating, dopo aver rischiato seriamente di spegnermi per sempre, posso dire che anche quando si parla di disturbi alimentari si tratta di sopravvivenza. Non solo perché, ad esempio, l’anoressia è la patologia psichiatrica con l’indice di mortalità più elevato e la seconda causa di decesso negli adolescenti dopo gli incidenti stradali - il rischio di morte è 9-10 volte più alto in chi soffre di anoressia nervosa che in persone di simile età e sesso. (Per la cronaca, si muore anche di bulimia: gli squilibri elettrolitici dovuti al vomito autoindotto possono portare ad aritmie cardiache, arresto cardiaco e infine anche alla morte. Al di là della costante fluttuazione del peso corporeo, che rende questo disturbo di più difficile individuazione rispetto all’anoressia ma non di minor gravità - tutt’altro - le conseguenze possono essere: vasi sanguigni rotti negli occhi, ghiandole ingrossate nel collo e sotto la mascella, traumi nella cavità orale - come tagli nella linea della bocca e nella gola.) Ripeto, si tratta di sopravvivenza. A volte, per i motivi più disparati (recenti studi hanno dimostrato che i fattori possono essere temperamentali, ambientali, genetici o fisiologici), non si è più in grado di comprendere a pieno la bellezza della vita. Si è in qualche modo affascinati dall’idea della morte, si è in qualche modo diventati dipendenti dalla sofferenza. Ci si convince, ad un certo punto, che non ci sia rimedio a sé stessi (perché si crede che il problema risieda proprio in sé stessi) e che non ci sia possibilità di tornare ad essere in salute. Anche perché non lo si vuole, proprio per questa adrenalinica sensazione legata al fatto di sentirsi a un passo dalla morte. Questi sono temi importanti. Perché non se ne parla? Perché, nonostante l’incidenza della bulimia nervosa sia di 12 nuovi casi (contro gli almeno 8-9 dell’anoressia nervosa) per 100mila persone in un anno, se ne parla così poco e così male? Forse perché ancora si pensa che sia una scelta, quella di essere anoressiche o bulimiche, che sia una questione di volontà. E che sia una questione di volontà guarire o non guarire. La verità è che la volontà c'entra, ma fino ad un certo punto. Se non ci sono i presupposti (ambiente famigliare sereno, consapevolezza del proprio problema, supporto psicologico e immediato intervento a livello fisico) si fa fatica a guarire. Si fa fatica anche perché la società in cui viviamo ha a lungo stabilito quali fossero i criteri di bellezza, e questi criteri possono ben essere riassunti nella parola ‘magrezza’. E chi si interroga sul senso della vita e sul senso della morte, non solo si lascia trascinare dalle emozioni e dalle sensazioni, di cui solitamente ha paura, ma rimane catturato dalla perfezione (una perfezione ideale, stereotipata e malsana), che fraintende per bellezza. Io sono guarita. Ho ancora le cicatrici di quanto mi è successo, nel corpo e nel cuore. Ma sono guarita. Perchè e possibile guarire. Bisogna alzarsi la mattina e ripetersi ‘voglio vivere’. La mia fame di vita è rimasta, ma la placo paradossalmente vivendo, giorno dopo giorno. E vedo bellezza dappertutto. Questo è accettarsi, questo è accettare il mondo. Lester Burnham, lo Kevin Spacey di American Beauty ha detto quello che io per tanto tempo non sono riuscita a dire:
“I guess I could be pretty pissed off about what happened to me, but it's hard to stay mad when there's so much beauty in the world. Sometimes I feel like I'm seeing it all at once and it's too much. My heart fills up like a balloon that's about to burst. And then I remember to relax, and stop trying to hold on to it. And then it flows through me like rain and I can't feel anything but gratitude for every single moment of my stupid little life. You have no idea what I'm talking about I'm sure, but don't worry, you will someday.”
“Potrei essere piuttosto incazzato per quello che mi è successo, ma è difficile restare arrabbiati quando c'è tanta bellezza nel mondo. A volte è come se la vedessi tutta insieme ed è troppa. Il cuore mi si riempie come un palloncino che sta per scoppiare. E poi mi ricordo di rilassarmi, e smetto di cercare di tenermela stretta. E dopo scorre attraverso me come pioggia, e io non posso provare altro che gratitudine, per ogni singolo momento della mia stupida, piccola, vita. Non avete la minima idea di cosa sto parlando, ne sono sicuro, ma non preoccupatevi: un giorno l'avrete!"
MITI DA SFATARE
1. Non sono tutte/i uguali.
Ogni paziente ha la sua storia e nella maggior parte dei casi l’ossessione rivolta al peso e all’aspetto corporeo è legata a un’insofferenza di base verso sé stessi. Il dr. Riccardo Dalle Grave, responsabile dell’Unità di Riabilitazione Nutrizionale Villa Garda, ha condotto diversi studi riguardanti l’insorgenza e il trattamento dei DCA ed è arrivato alla conclusione che tra i fattori di rischio vi siano tratti specifici di personalità, quali bassa autostima, perfezionismo clinico e intolleranza alle emozioni. Spesso inoltre sono correlati disturbi d’ansia e disturbi depressivi. Si è inoltre riscontrato che il disturbo da binge-eating è non di rado legato al disturbo borderline di personalità.
2. Non solo donne.
Il 90-95% delle persone colpite appartiene al sesso femminile, ma, secondo un recente articolo pubblicato su Il Messaggero (20/01/2020) un uomo ogni quattro donne sui tre milioni complessivi in Italia soffre di disturbi alimentari. L’aspetto più critico riguarda in questo caso la poca attenzione rivolta proprio agli uomini, i quali si ritrovano ad affrontare un grave problema tanto fisico quanto psicologico quando ormai è troppo tardi, anche e soprattutto a causa di un pregiudizio diagnostico di genere da parte degli stessi specialisti, causando un disagio che forse è addirittura maggiore rispetto ad un individuo di sesso femminile che soffre della stessa patologia. L’incidenza dell’anoressia nervosa per gli uomini è compresa fra 0,02 e 1,4 di nuovi casi. Per quanto riguarda la bulimia nervosa ogni anno si registrano circa 0,8 nuovi casi per 100.000 persone.
3. Non solo adolescenti, o meglio, non più solo adolescenti.
L’età media di insorgenza del disturbo è compresa nella maggior parte dei casi tra i 12 e i 25 anni, con un doppio picco di maggiore frequenza a 14 e 18 anni. Tuttavia negli ultimi tempi sono stati diagnosticati casi a incidenza più tardiva, dopo i 20-30 anni, e alcuni a insorgenza più precoce, prima dei 12 anni, addirittura intorno ai 9 anni.
4. Non solo nei Paesi sviluppati
I disordini alimentari colpiscono soprattutto la popolazione occidentale, mentre sono rare nei Paesi in via di sviluppo, dove non esiste una forte pressione sociale verso la magrezza. Ciononostante consiglio vivamente di leggere il seguente articolo, in cui viene dimostrato come, anche se con curiose anomalie rispetto ai sintomi standard da DCA, anche in Asia e in Africa la popolazione ne è in qualche modo colpita: https://www.google.com/amp/s/vociglobali.it/2017/07/21/dallafrica-alla-cina-nessun-confine-per-anoressia-e-bulimia/amp/
5. Non solo anoressia, bulimia e binge-eating
Negli ultimi anni si è registrata la comparsa di nuove patologie legate al comportamento alimentare, riconosciute e classificate nel DSM-5. Tra queste troviamo in aumento la diffusione dell’ortoressia (ossessione per il cibo ritenuto ‘salutare’), con 500.000 italiani, soprattutto uomini, a soffrirne. Tristemente nota tra i giovani vi è poi la drunkoressia, che prevede l’uso massiccio di sostanze alcoliche accompagnato da digiuni prolungati e/o condotte di eliminazione al fine di non prendere peso. Infine, campanello d’allarme soprattutto per gli atleti, la bigoressia: l’ossessione per l’allenamento fisico, combinato con alimentazione iper-proteica e spesso steroidi o anabolizzanti.
6. SI GUARISCE
Lo ribadisco. E’ possibile guarire. Guarda il tuo corpo per com’è: lo splendido risultato imperfetto dell’amore di chi ti ha messo al mondo e il futuro scrigno imperfetto di un amore che ti sfamerà per davvero. E a quel punto non sarai più affamato/a, perché forse quella fame di vita era solo fame d’amore.
LINK UTILI
Come la pandemia ha favorito l’insorgenza di disturbi alimentari:
https://www.google.com/amp/s/www.ilfattoquotidiano.it/2020/12/08/disturbi-alimentari-con-la-pandemia-piu-30-di-casi-dalle-relazioni-difficili-alle-privazioni-i-nuovi-traumi-come-chiedere-aiuto-e-dove-mancano-i-centri/6021915/amp/. http://www.disturbialimentarionline.it/la-diffusione-dei-dca
Cosa sono i disturbi alimentari e come affrontarli (CBT-E: Enhanced Cognitive Behaviour Therapy - terapia cognitivo comportamentale: una possibile soluzione):
A chi rivolgersi:
Numero verde:
800180969
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