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Felicità anche là dove non c’è

Giuseppe Bertuccio D’Angelo, 30 anni, originario di Messina, è un “normale ragazzo medio” che dopo aver conseguito una laurea in economia, decide di partire da solo per fare il giro del mondo in un anno. Lui stesso ha definito questa come “un’esperienza stravolgente” che gli ha regalato la consapevolezza di voler vivere una vita degna di nota.

Tornato dal viaggio, capisce di essere incastrato nella comfort zone della città in cui si è trasferito e per uscirne, decide di allenarsi duramente per un anno con lo scopo di partecipare al triathlon più duro al mondo: l’IRONMAN di Barcellona 2018, riuscendo poi a tagliare il traguardo a testa alta.

Poco dopo aver portato a termine il duro allenamento per il triathlon, ovvero “Progetto Liminis”, dà vita ad uno dei programmi che lo hanno reso più famoso, cioè “Progetto Happiness”, un reportage sulla felicità da realizzare raccogliendo informazioni girando il mondo per conoscere le persone che si sono distinte nel corso della loro vita raggiungendola. In particolare come ci sono riusciti, qual è il loro “segreto” e cosa possono insegnare, tenendo conto delle loro esperienze, storie, culture e tradizioni diverse. Lo scopo della sua ricerca è quello di giungere alla risposta che tutti gli esseri umani, senza distinzione, ricercano ovvero “Come si raggiunge la felicità?”



Molti sono i contenuti suggestivi che Progetto Happiness ha messo a disposizione sui vari canali social, ne è un esempio il reportage della sua vacanza a Pyongyang, in Corea del Nord.

Capace di gettare luce sulle ombre più oscure di ogni luogo e di metterne in risalto gli aspetti più suggestivi, dall’inizio di Aprile 2021, per circa un mese, Giuseppe ha deciso di prendere parte a una missione di soccorso in mare con una nave umanitaria nel Mediterraneo Centrale. Il 2 Aprile 2021 è salito a bordo della Ocean Viking della SOS MEDITERRANEE con l’obiettivo di raccontare e documentare tutte le emozioni di una missione lungo la rotta migratoria più letale al mondo.

“Che cos’è la felicità per chi è disposto a sacrificare la propria vita anche per la sola speranza di un’esistenza migliore? Cosa significa essere felici per i volontari e i professionisti che trascorrono mesi in mare per offrire il proprio aiuto ai migranti?”

Questi sono gli interrogativi coi quali è partito per una missione più complessa del solito, perchè oggettivamente è lecito chiedersi SE è possibile trovare la felicità in uno scenario così drammatico e delicato. Consapevole di essersi imbarcato su quella nave non solo come reporter ma anche come soccorritore in caso di necessità, sa bene che il suo compito non sarà facile poiché in gioco, oltre a tante storie da raccontare, ci sono soprattutto le vite di centinaia di persone.


“Portare uno sguardo nuovo su di un tema, quello delle migrazioni attraverso il mediterraneo e la fuga dall’inferno libico, ormai diventato terreno di scontro politico e ideologico ma che, innanzitutto, racchiude le storie drammatiche di migliaia di esseri umani, di PERSONE.”

È con queste parole che accompagna chiunque ne abbia voglia, a seguirlo durante tutta l’esperienza tramite i canali social.

Un episodio in particolare, avvenuto durante la sua permanenza sulla Ocean Viking ha nuovamente messo in evidenza la criticità della situazione, quando in seguito ad un’operazione di salvataggio non andata a buon fine, in un’intervista rilasciata a TPI ha dichiarato :


“Purtroppo quando siamo arrivati era troppo tardi perché il mare era così in tempesta che ha distrutto completamente l’imbarcazione. Abbiamo trovato i resti insieme ad alcuni cadaveri galleggiare, una decina, gli unici forse che avevano il giubbotto di salvataggio. È stato durissimo. (...) Con l’equipaggio ci siamo sentiti inutili. Eravamo pronti ad agire e salvarli, ma non siamo arrivati neanche in tempo per fare qualcosa, era troppo tardi. Conseguenza del fatto che Ocean Vikings è l’unica in mare a prestare soccorso a chi ne ha bisogno. Le altre Ong come Open Arms sono bloccate nei porti per fermi amministrativi e controlli.”

Cadaveri visti dalla Ocean Vikings

È evidente che la Guardia Costiera libica, il corpo militare locale creato ad hoc nel 2017 per effettuare operazioni di soccorso, a cui l’Italia ha versato in quattro anni oltre 22 milioni di euro, di cui 10 solo nel 2020 (dati Oxfam, Camera dei deputati) per intercettare le imbarcazioni di migranti in mare, spesso non è operativa.


“Non è efficiente. Non sono nemmeno usciti, quando hanno ricevuto la chiamata, non sono usciti perché per loro il mare era in tempesta, era troppo mosso e non sono usciti”, ha raccontato Giuseppe.

Sos Mediterranée è in contatto radio con la Guardia Costiera libica, perché deve sempre comunicare i propri spostamenti, essendo i guardacoste di Tripoli responsabili di quella zona di ricerca e soccorso. Eppure molto spesso nemmeno rispondono. Così subentrano loro. Ma “Se c’è soltanto una nave e il mare, come quella notte, ha le onde di tre o di sei metri, è impossibile sopravvivere”, dice. “Si va incontro a una morte certa”.

Molte vite sono andate perdute e nessuno le riporterà mai indietro, ma fortunatamente in seguito sono arrivate anche notizie positive, ovvero il salvataggio del 27 Aprile quando 236 persone, come spiega Giuseppe in un post su Instagram “Avevano lo stesso gommone, gli stessi salvagenti (camere d’aria) dei naufraghi che non siamo riusciti a soccorrere mercoledì scorso. Quando li ho visti da vicino ho pensato subito che fossero stati davvero fortunati. Ma in realtà, essere salvato in mare, scappare dalla guerra, richiedere asilo è un diritto e non dovrebbe essere lasciato alla sorte.”

Il tentativo disperato di fuggire dal proprio paese; lasciare la propria famiglia, nella speranza di un futuro e di una vita migliore, imbarcandosi su mezzi di fortuna, senza alcuna sicurezza, alcuna certezza della meta, sembrano non lasciare neppure uno spiraglio alla tanto agognata felicità. Si affidano al mare, alla speranza che qualcuno li trovi e offra loro l’aiuto di cui necessitano. Eppure, come testimoniano video e foto dell’esperienza di Progetto Happiness, gli basta così “poco” per essere davvero felici, è sufficiente la consapevolezza di essere diretti verso l’Europa, di sbarcare in Italia, seppur con un futuro incerto e ancora tutto da scrivere. Felicità come speranza, certezza di potersi finalmente sentire vivi.

Oltre questioni politiche, burocratiche ed economiche: comunissime vite.


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