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Immagine del redattoreVittoria Giaganini

Filosofia Fight Club

"Il postmodernismo è l'incredulità nei confronti delle meta-narrazioni"

Jean-Francois Lyotard, La condizione postmoderna, 1979


Il concetto di postmodernismo può riguardare un'epoca storica (ultimo quarto del Novecento) oppure una particolare estetica (iperrealtà, sublimazione del falso ad un archetipo originale, copia acritica del passato) ma anche, e soprattutto, un particolare sistema di valori.

Il modo di vedere il mondo tipico del postmodernismo si basa sullo scetticismo, sulla mancanza di valori e di fiducia nel progresso, nel nichilismo, nell'individualismo collettivo, nella passività di fronte a qualsiasi cosa. E se ci pensate bene, anche oggi molti di noi potrebbero fare le stesse considerazioni: attraverso la globalizzazione i cittadini medi nel primo mondo dispongono degli stessi servizi, degli stessi beni di consumo, delle stesse aspettative di vita. Consumismo, media, turismo, capitalismo, lavoro, denaro: tutto questo è ciò che guida le nostre vite e non c'è spazio per la fede o la speranza, nemmeno per quelle correnti di pensiero che tanto hanno influenzato i nostri antenati (illuminismo, marxismo, positivismo..). Non ci interessano più queste meta-narrazioni.


Ma Fight Club cosa c'entra in questo?

Se avete letto il romanzo di Chuck Palahniuk o se almeno avete visto il film di David Fincher allora sapete benissimo a cosa mi riferisco. Anche soltanto i colori della pellicola e la narrazione asciutta e diretta del libro sono intrisi di nichilismo, delusione e rabbia repressa per la società.


Fight Club è testimone del postmodernismo e ci spiega dall'interno come funziona: proprio perché numerossissimi su questa terra, gli esseri umani del ventesimo (e ventunesimo) secolo sentono il bisogno irrefrenabile di trovare se stessi, di lasciare un segno, di essere qualcuno di particolare agli occhi altrui.

"Noi siamo i figli di mezzo della storia, cresciuti dalla televisione a credere che un giorno saremo milionari e divi del cinema e rockstar, ma non andrà così. E stiamo or ora cominciando a capire questo fatto"

Chuck Palahniuck, Fight Club, 1996


Ecco che il consumismo e la globalizzazione entrano in gioco: il mercato sfrutta i nostri desideri repressi e ci spinge ad acquistare oggetti che ci renderanno migliori o che diranno chi siamo (una tavolino dell'Ikea che ricorda il nostro lato pratico ma estetico, un nano da giardino che rappresenta il nostro humour, un'auto sportiva che rende subito riconoscibile il nostro lato spericolato). E così funziona con il resto degli obiettivi, dei lavori, delle esperienze della nostra vita: rincorriamo modelli di bellezza irrealizzabili, ci struggiamo dietro all'ambizione e alla fame di denaro soltanto per poter spendere ancora di più, ci convinciamo di essere brave persone perché abbiamo un cane e paghiamo le tasse e tutto ciò avviene inconsapevolmente, come se fossimo vagoni di un treno che ha fatto sempre lo stesso tragitto e che non può fermarsi.


Anche il protagonista di Fight Club è incosciente di quello che fa e di quello che succede intorno a lui e la sua insomnia è una vera condizione esistenziale, è simbolo della mancanza di fiducia, speranze, vitalità, obiettivi. Lui segue passivamente una strada già percorsa da molti, semplice e banale: studiare, lavorare, comprare casa, sposarsi (prima o poi). Soltanto quando conosce Tyler Durden la sua vita acquista un briciolo di senso: sarà lui, questo businessman sicuro di sé con le idee chiare su ogni cosa, che gli insegnerà ad aprire gli occhi sulla realtà e fonderà il famigerato club clandestino di pugilato.

"Quando sei al Fight Club tu non sei i soldi che hai in banca. Non sei il tuo lavoro. Non sei la tua famiglia e non sei quello che dici di essere a te stesso"

Chuck Palahniuck, Fight Club, 1996




Il Fight Club è una vera valvola di sfogo in cui uomini persi, insoddisfatti, schiacciati dalla routine dimenticano e ritrovano se stessi attraverso scontri fisici.



Se volessimo analizzare il concetto di combattimento da un un punto di vista filosofico potremmo riprendere Fichte, il primo della triade idealista, che spiegava l'importanza dello scontro tra soggetto e oggetto al fine di caratterizzare, trovare, delimitare se stessi; riprendendo Sartre e la sua teoria dello sguardo oggettivante invece potremmo affermare che ogni rapporto umano è naturalmente basato sulla conflittualità, sulla lotta per la supremazia.

Ma se fossimo abbastanza coraggiosi potremmo andare oltre e dichiarare che il capolavoro di Palanhniuk descrive una filosofia a parte, dove le teorie precedenti vengono messe in pratica attraverso pugni e calci, e le cui conseguenze possono essere devastanti, come ci insegna la conclusione del romanzo. Detto in altri termini il Fight Club diventa una nuova meta-narrazione in cui credere, diviene il fulcro della nostra esistenza e può portarci, per questa ragione, a compiere azioni indicibili e paradossalmente ad annientare noi stessi.


Where is my mind?

!spoiler alert!


Un aspetto importante del film di David Fincher è la canzone che viene scelta per il finale, la famosissima Where is my mind? dei Pixies, che rappresenta alla perfezione l'ultima epifania del protagonista, la sua presa di coscienza, il suo risveglio definitivo (e fatale) dal dormi-veglia dell'insonnia esistenziale. La semplice melodia della chitarra che accompagna la voce in ogni momento ricorda l'idea di monotonia e di continuità del tempo, quel treno che non si ferma mai dal quale cerchiamo con tutte le nostre forze di scendere, rincorrendo invano qualche tavolino dell'Ikea che ci convinca di essere speciali.









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