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federica pirpignani

Gli svenimenti di Dante

Il carattere che subito salta in mente quando in un contesto viene tirato in ballo il Sommo Poeta è la facilità con cui quest’ultimo era solito a svenire nella Commedia. Ciò è pane per i denti dei produttori di meme e probabilmente una delle poche cose che si ricordano a seguito di una lezione di italiano a Maggio all’ultima ora alle superiori, quando al professore viene la brillante idea di leggere un canto tanto per fare una lezione “leggera”. Ripercorriamo i passi in questione:

“finito questo, la buia campagna … E caddi come l’uom che ‘l sonno piglia”. Canto III dell’Inferno.

“Per più fiate li occhi ci sospinse … e caddi come corpo morto cadde”. Canto V dell’Inferno.

“Sotto ‘l suo velo e oltre la rivera … salsi colei che la cagion mi pose”. Canto XXI del Purgatorio

“Oh pazienza che tanto sostieni …. nè io lo ‘ntesi; si mi vinse il tuono”. Canto I del Paradiso


Molti studiosi, analizzando attentamente le cantiche, si chiesero quale fosse il motivo di queste perdite di sensi continue e dunque cercarono di dare una spiegazione di tipo diagnostico. Erano davvero date dal fatto che il corpo non fosse in grado di sopportare ciò che la mente percepiva? E ancora, Dante inizia la sua cantica dicendo “Io non so ben ridir com'i v'intrai / tant'era pien di sonno a quel punto / che la verace via abbandonai”. Sono proprio questi attacchi di sonno improvvisi ad aver destato il sospetto, il quale ha condotto ad un’analisi accurata. Ovviamente si tratta solo di ipotesi, in quanto non c’è assoluta certezza della veridicità dei fatti e non è possibile fare una diagnosi a posteriori. Il Poeta sembra soffrire di una sintomatologia particolare, ossia le forti emozioni provocano in lui debolezza muscolare e svenimenti. Di queste indicazioni sintomatiche ce ne sono tante

e non solo nella Commedia. Molto spesso Dante descrive le malattie di cui soffriva.

Nel Convivio ad esempio descrive di un disturbo visivo che lo affligge:

“a forza di leggere aveva debilitato «gli spiriti visivi» al punto che le stelle gli «pareano tutte d'alcuno albore ombrate», e solo «per lunga riposanza in luoghi oscuri e freddi, e con affreddare lo corpo dell'occhio coll'acqua chiara» aveva recuperato il «primo buono stato della vista»

Anche nella Vita Nova si ritrovano riferimenti al proprio stato di salute:

«Mi giunse uno sì forte smarrimento che chiusi gli occhi e cominciai a travagliare come farnetica persona».

Tutte questi indizi inizialmente condussero all’ipotesi dell’epilessia, patologia causata dall’abnorme alterazione dell’attività dei neuroni. Le crisi comprendono un'insieme di manifestazioni caratterizzate da brevi episodi di perdita di conoscenza (assenze) e da alterazioni sensitive, psichiche o motorie, più o meno accompagnate da spasmi o da contrazioni della muscolatura scheletrica di tipo convulsivo. Dante conosceva molto bene l’epilessia, tanto che la descrive nel canto XXIV dell’Inferno con una serie di termini tecnici. A tale ipotesi si affiancò quella della narcolessia. Sintomi come la debolezza muscolare in determinate situazioni, le allucinazioni ipnagogiche, il suo difficile rapporto con il sonno e il rapido passaggio da questo alla veglia fanno pensare proprio a questo. Purtroppo queste ipotesi non possono che rimanere tali. Non sono state ben accolte dalla comunità dantesca, ma senz’altro ci danno una chiave nuova di interpretazione del celeberrimo Poeta.




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