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Immagine del redattoreMartina Romeo

Here Comes the Sun - e allora dico, va tutto bene

Here comes the sun. Difficile non conoscere questa decina di versi nati dal genio creativo di George Harrison, membro integrate di una delle più note band britanniche degli anni Sessanta, the Beatles.

In questo caso, l’ispirazione per questo brano venne ad Harrison in un giorno totalmente inaspettato: perché sì, nel momento esatto in cui il cantante sarebbe dovuto essere all’ennesima seduta del consiglio di amministrazione di Apple (casa discografica fondata dalla stessa band inglese), egli si trovava in realtà nel giardino di non altri che Eric Clapton, amico storico dei fab four (e altrettanto artista di fama mondiale). Soltanto stando in quel luogo, in contatto quasi minimo con la natura, il giovane Beatle si rese conto che la primavera fosse ormai alle porte (conseguentemente, che quel lungo inverno all’apparenza infinito, sarebbe presto giunto al termine), e così, come se bastasse un semplice schiocco di dita, prese una

delle chitarre acustiche di Clapton e scrisse questa canzone.

Citando le parole dell’autore: “c’era il sole, ed è stato semplicemente il rilascio di tutta la tensione accumulata nell’ultimo periodo”, con la morte del manager della band, Brian Epstein, nel 1967, i componenti della stessa si dovettero occupare di documenti relativi a bilanci e finanze di qualsiasi tipo, “presi la chitarra, per la prima volta dopo settimane a causa di tutti gli impegni, e la prima cosa che venne fuori fu questa canzone. È semplicemente uscita così, di getto”.


Here comes the sun”, ultima canzone che George presentò al gruppo, uscita poi nel 1969 all’interno dello storico album Abbey Road, è un semplice (letteralmente) agglomerato di parole quasi contabili sulle dita di una mano, le quali si ripetono più volte sullo sfondo di un delicato sottofondo musicale creato da: basso (Paul McCartney), batteria (Ringo Starr) e, soprattutto, da una chitarra acustica innalzata di sette semitoni (suonata dallo stesso Harrison). Il cantante per riprodurre quel suono particolarmente dolce utilizzò uno stile molto in voga al tempo: attraverso l’uso del plettro, Harrison riuscì a pizzicare più corde con diverso ritmo, in modo da ottenere, contemporaneamente, il suono di melodia ed armonia.

Ciò che salta all’occhio è la mancanza della partecipazione di uno dei due Beatles maggiormente citati a livello di scrittura, John Lennon, il quale si stava ancora riprendendo da un incidente stradale e fu “costretto” quindi a prendere parte soltanto come voce corale all’interno del brano.



Una musica ed un testo semplici, ma che proprio per questa loro caratteristica rendono “Here comes the sun” una delle canzoni più note, e forse, orecchiabili del gruppo musicale. Non avrà un testo imponente come tante altre hits degli stessi Beatles o, per fare un confronto con altri artisti, il testo non è paragonabile a quelli dei Queen o di Elton John, dotati sempre di molte più parole (nonostante, anche in questi casi, molte possano essere rappresentate da semplice rappresentazione scritta di suoni onomatopeici), ma c’è da dire che solo attraverso l’utilizzo di un numero così limitato di espressioni e di suoni onomatopeici, Harrison è riuscito a creare quello che diverrà “l’inno del buonumore”. Una di quelle canzoni da ascoltare quando non si è nel mood, malinconici, o quando semplicemente qualcosa non va.

Certo, l’immagine del sole è sempre stata associata ad un qualcosa di positivo, ma mai Harrison avrebbe pensato che una semplice frase, pensata in un momento totalmente casuale della sua vita, potesse diventare così degna di nota – quasi un modo di dire, al giorno d’oggi.

Più che una canzone, essa è riuscita, fin dalla sua comparsa sullo sfondo musicale, a divenire una “compagna immaginaria” che sembra avere sempre le parole giuste al momento giusto. Basta indossare delle cuffiette per ascoltarle.




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