Se siete qui per leggere cose già sentite mille volte, argomenti politically-correct, moralismi inutili e pregi dell'umanità, avete sbagliato articolo. Andate da qualche altra parte.
Qui si parla dell'opposto di tutto ciò elencato sopra, in un tuffo che ci porta fino a cent'anni fa. C'è un filo invisibile legato alle parole della storia che vi sto per raccontare, che si estende e si srotola dal proprio gomitolo fino ad arrivare ad oggi. Oggi quel filo è legato attorno al dito mignolo di un uomo sepolto in fondo al mare, divorato dagli stessi pesci che domani vi ritroverete sul piatto, fumanti e profumati.
L'altra estremità si lega attorno a due figure che molti non hanno mai sentito nominare, o, se l'hanno fatto, che hanno declassato solo come “l'ennesimo esempio, l'ennesimo caso, l'ennesima ingiustizia”. È vero, sia queste due figure che l'uomo nel mare sono solo un "ennesimo". Ma se si giudica ogni cosa come soltanto l'“ennesimo”, allora è impossibile
pretendere che questo "ennesimo" diventi un “unico”, o “sporadico”, o come diamine volete
chiamarlo.
Le due figure di cui parliamo oggi si chiamano Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti.
Un pescivendolo ed un calzolaio italiani, quindi, giustamente, due comunisti, due mafiosi, due sporchi, due ladri di lavoro, due invasori della sana cultura americana.
No. Ed è qui che sta l'ingiustizia. Partiamo dal principio:
Anni venti del 1900. L'Europa è immersa nella devastazione, nelle carestie e nella crisi portate dalla prima guerra mondiale, con tutto ciò che esse comportano. È ben lontana dal riprendersi. Dall'altra parte dell'oceano, americani pasciuti si godono i ruggenti anni '20, con i risarcimenti che i loro colleghi europei gli garantiscono restando in mutande, e con l'incolumità con cui il proprio territorio ha superato la guerra: negli Stati Uniti la grande guerra non ha portato bombe; non c'è bisogno di spendere miliardi nelle ricostruzioni.
Come in ogni epoca di tutta la storia, chi vive in condizioni devastanti e guarda a paesi che se la spassano, cerca in tutti i modi di raggiungere quei paesi. Così fecero migliaia e migliaia di italiani, che presero treni e navi e raggiunsero con le proprie gambe il nuovo mondo, sacrificando un sacco di soldi necessari al sostentamento della famiglia che restava, sperando di farne a palate da rimandare indietro.
Immigrati che arrivano per nave in luoghi dove non sono né desiderati né apprezzati, con la speranza di una vita migliore che invece non riserva che ingiustizie. Vi ricorda qualcosa? Se non vi ricorda nulla, leggete i giornali o andate sul profilo Instagram di Matteo Salvini. Si parla solo di quello.
"Al centro immigrazione ebbi la prima sorpresa.” dice Vanzetti. “Gli emigranti venivano smistati come tanti animali. Non una parola di gentilezza, di incoraggiamento, per alleggerire il fardello di dolori che pesa così tanto su chi è appena arrivato in America. Ma dove altro potevo andare? Cos'altro potevo fare? Quella era per me come la Terra Promessa”
La condanna di Sacco e Vanzetti fu quella di essere anarchici e di entrare a far parte di un gruppo di anarchici italo-americani. I loro nomi furono schedati in liste, e chiunque ne facesse parte veniva pedinato, tenuto d'occhio e di solito buttato qualche anno in prigione, così, magari perché aveva messo le dita nel naso al momento sbagliato. Oppure, come accadde ad uno dei loro compagni anarchici, cadevano inspiegabilmente e casualmente giù dalle finestre dei grattacieli di New York, sfracellandosi a terra. Normale amministrazione, è accaduto più volte anche nella stessa madre patria Italia. Che vuoi farci: gli anarchici son distratti.
Dopo toccò ai nostri due amici, anche se non in maniera così direttamente brutale. Non
fraintendetemi, brutale lo è stata eccome, e forse anche peggio, perché nascosta, fittizia, celata dietro a belle parole che nessuno aveva il coraggio di smascherare. I due sono accusati di rapine, furti, delinquenza, ma vengono condannati definitivamente per l'omicidio di un contabile e di una guardia del calzaturificio Slater and Morrill, entrambi americani.
Non vi racconterò le dinamiche del colpo, per farla breve, ma sia il colpo che gli omicidi ci sono stati: questo è indubbio. Peccato che altrettanto indubbia sia l'innocenza di Sacco e Vanzetti.
Paura rossa. Sacco e Vanzetti non erano comunisti, ma scioperavano, protestavano contro la guerra e perseguivano una radicale anarchia, e questo bastava già agli americani a considerarli come nemici della patria. Chiunque fosse così era un ente altamente contagiante che rischiava di diffondere negli Stati Uniti il mostruoso virus del comunismo, più pericoloso del COVID-19.
Nazionalismo. Un movimento ben conosciuto che si diffondeva anche e soprattutto in Europa, ma per cui, chissà perché, al giorno d'oggi sono particolarmente famosi gli statunitensi. Dopotutto, sono loro quelli con le bandiere con 50 stelle nei loro giardini di casa, a simboleggiare la fedeltà e l'appartenenza alla Casa Bianca. E sono sempre loro quelli con armi automatiche e fucili nei cassetti per difendere la loro proprietà da invasori stranieri.
Politica del terrore. Un altro binomio ben conosciuto e anche piuttosto semplice da capire: basta saper fare due più due. Detta in parole povere ed eccessivamente generiche, si tratta di sfruttare la paura per assoggettare, terrorizzare e dominare un popolo in nome dell'ordine politico e sociale. Se sia una politica giusta o meno, non sta a me deciderlo. Sicuramente è efficace. Ma il fine giustifica i mezzi? A voi la provocazione.
E fu così che i nostri amici Sacco e Vanzetti, nel 1920 sono chiamati a processo, nel 1921 sono
condannati a morte e nel 1927 sono fatti arrostire uno dopo l'altro sulla sedia elettrica. Non fu un processo né, come potete vedere, veloce, né tanto meno facile. L'attacco si accaniva senza alcuna prova, pagando o minacciando testimoni veri (o presunti tali) di dire le cose non proprio come erano accadute. Se una donna che il giorno prima aveva affermato di non aver visto Sacco e Vanzetti sulla scena del crimine, nel corso della notte riceveva una visita angelica o una rivelazione divina, e improvvisamente si ricordava esattamente di come i due italiani avessero attuato il colpo alla luce del sole.
Molte delle trascrizioni di queste testimonianze non proprio coerenti sono casualmente sparite nel nulla dopo il processo.
Con il tempo esageratamente lungo del processo si smise di passare in rassegna le prove
insufficienti del caso per concentrarsi invece sulle opinioni (politiche) dei due indiziati, che
sicuramente, al contrario delle prove, furono più che sufficienti.
La difesa ci fu, non va dimenticato. Ma più che esserci sembrava piuttosto una presenza vana,
ignorata, inutile. Riuscì se non altro a mantenere il caso aperto per sei anni, prima che la condanna a morte di Sacco e Vanzetti fosse firmata e schedata. Per altri sette anni, dal 1921 al 1927 la difesa lottò per riaprire il caso, con orazioni, riprese in considerazione dei testi sorvolati o archiviati dall'attacco, manifestazioni davanti al palazzo di giustizia.
Sembrò esserci una reale speranze quando il già carcerato Madeiros, un criminale portoghese condannato per rapina e omicidio, nel tardo 1925 confessò la sua partecipazione alla rapina del calzaturificio, scagionando completamente Sacco e Vanzetti. Madeiros rispose a tutte le domande riguardanti il colpo, ma non fece mai i nomi dei suoi complici. Fu proprio questo il motivo per cui la sua confessione non venne presa in considerazione più di tanto: il giudice era convinto di aver trovato un complice di Sacco e Vanzetti, non la verità.
A nulla servirono mobilitazioni di piazza, proteste da parte dell'Italia e quant'altro. Sacco e Vanzetti erano colpevoli a prescindere, in maniera intrinseca:
“Sono colpevole... colpevole! Non è questo che volete sentire? Non ho ucciso nessuno, di questo sono innocente, ma sono colpevole di un crimine ancor più truce ed empio: essere italiano, la mia colpa è questa. Sono sotto processo per questo dal primo vagito che ho fatto!” direbbe Tyrion Lannister, con le dovute differenze.
Sacco e Vanzetti erano colpevoli in quanto membri di una comunità parassita, appartenenti ad una razza ritenuta inferiore, inutile e fatta solo di criminali. Era questo che erano gli italiani, allora. Ed è esattamente questo ciò che disse Vanzetti, pochi mesi prima di essere ucciso: «Io non augurerei a un cane o a un serpente, alla più bassa e disgraziata creatura della Terra — non augurerei a nessuna di queste creature ciò che ho dovuto soffrire per cose di cui non sono colpevole. Ma la mia convinzione è che ho sofferto per cose di cui sono colpevole. Sto soffrendo perché sono un anarchico, e davvero io sono un anarchico; ho sofferto perché ero un Italiano, e davvero io sono un Italiano [...]. Se voi poteste giustiziarmi due volte, e se potessi rinascere altre due volte, vivrei di nuovo per fare quello che ho fatto già.»
Forse Tyrion si è ispirato a lui.
Il 23 agosto 1927, prima Sacco e 7 minuti dopo Vanzetti, furono uccisi sulla sedia elettrica.
Scoppiarono rivolte in Francia, in Germania, in Inghilterra. Scoppiò una bomba di matrice
probabilmente anarchica sulla casa del giudice che aveva condannato i due italiani, altre proteste, altre lotte all'ingiustizia concluse tutte nel silenzio. Di quella storia, ora, rimane la canzone di Joan Baez: “Here's to you”.
Forse adesso capite cosa c'entra il filo che si estende nel corso della storia da caso a caso, da morto a morto, da ingiustizia ad ingiustizia. Un filo che dal 1921 arriva fino ad oggi, cent'anni dopo, ma che proviene da molto prima e arriverà molto dopo. Ci sono storie che non vanno dimenticate: interiorizzatele, invece di limitarvi a leggerle, ascoltatele invece che limitarvi a sentirle. Invece di dire “se a me non hanno dato questo privilegio, perché mai dovrebbe averlo lui?” dite “se a me non hanno dato questo privilegio, lotterò perché almeno lui ce l'abbia”.
E questa, signore e signori, è tutta la morale della nostra storia.
Letizia Brazzini
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