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marcobecherini159

I romani e la formula 1: le corse di carri

Abbiamo già parlato in un articolo precedente degli sport praticati dai romani, dunque perché ora non parliamo un po’ degli intrattenimenti del mondo antico? Certo, quando parliamo di giochi nell’antica Roma abbiamo tutti in testa gli spettacoli di gladiatori, tuttavia esisteva un altro passatempo, meno conosciuto al giorno d’oggi, ma molto amato dagli antichi: le corse dei carri.


L'imperatore Domiziano

Le corse di bighe e quadrighe erano un po’ la Formula 1 del mondo antico, facevano appassionare migliaia e migliaia di persone, di qualunque estrazione sociale. L’imperatore Domiziano ne era un grandissimo appassionato, ma diventare un auriga e correre al Circo Massimo era anche il sogno di tantissimi bambini degli strati più poveri della popolazione: un po’ come i ragazzini di oggi che sognano di diventare calciatori e giocare la Champions League (ma non la Superlega!).


Queste competizioni, insomma, suscitavano emozioni, infiammavano gli animi ed entusiasmavano le masse. Non c’è da sorprendersi che intorno a competizioni così sentite si muovessero tifoserie accanite e ingenti interessi economici.


Le corse dei carri a Roma erano infatti un vero e proprio business; erano organizzate da imprenditori specializzati, che mettevano in piedi vere e proprie squadre, con tanto di staff, né più né meno che in un club di calcio dei giorni nostri. Nella fattispecie esistevano quattro squadre, o factiones: i blu, i verdi, i bianchi e i rossi. Queste scuderie si sfidavano nelle corse e si dividevano il mercato; ogni squadra aveva i propri cavalli, le proprie rimesse e i propri carri, oltre ovviamente a un’enorme quantità di personale, fra aurighi (coloro che guidavano i carri nelle gare), addestratori di cavalli, veterinari e perfino scout incaricati di andare alla ricerca di nuovi talenti. Anche se non ci si pensa, infatti, mica tutti potevano diventare aurighi: servivano precise doti fisiche, come l’equilibrio, e i nervi saldi.


Gli aurighi si sottoponevano ad un allenamento duro e costante, per temprare il corpo, ma anche l’emozione, dato che le corse erano estremamente pericolose. Gli incidenti nel corso della gara erano all’ordine del giorno: i testimoni ci dicono che era un evento raro che tutti i conducenti finissero la gara interi. Le competizioni erano infatti gare di velocità in cui i carri dovevano svolgere una serie di giri della pista prima degli altri (N.B. la velocità media di una quadriga doveva essere sui 40 km/h). Per vincere serviva una discreta dose di tecnica: si poteva tagliare la strada all’avversario, o cercare di prendere una curva più stretta degli altri per guadagnare terreno. Ciò che rendeva davvero pericolose le gare erano però i comportamenti degli sfidanti; come se non fosse già abbastanza difficile controllare tutti i cavalli (è stato provato che nelle quadrighe due dei quattro cavalli erano quasi impossibili da direzionare), gli aurighi erano soliti fare di tutto perché l’avversario sbandasse. Se questo accadeva, il conducente poteva finire disarcionato e calpestato dai cavalli, oppure poteva venire scaraventato a terra ma rimanere impigliato nelle briglie o nelle altre numerose corde: di solito in questi casi l’uomo veniva trascinato dai cavalli per tutta la pista finché non moriva.


I romani, poi, erano molto superstiziosi, era perciò frequente che i tifosi più sfegatati (gli ultras dell’antichità) si rivolgessero a qualche stregone per lanciare il malocchio sugli aurighi avversari, o su una squadra nemica. Di contro, esistevano anche gli scongiuri e le preghiere in favore dei propri beniamini; sappiamo che le factiones avevano ognuna i propri numi tutelari, i propri dèi a cui votarsi, insomma.


A conferma di quanto questi spettacoli fossero sentiti dalla cittadinanza vi sono i frequenti tumulti e tafferugli scoppiati tra tifoserie avverse; non di rado doveva intervenire l’esercito, per riportare l’ordine. Del resto le corse, così come i giochi gladiatori, avevano una fortissima funzione catartica: per le componenti più povere della popolazione (che erano in effetti numerosissime: circa 1/3 dei romani viveva sulla soglia della povertà), erano una valvola di sfogo che permetteva loro di evadere dalla vita quotidiana. Avrete senz’altro sentito la celebre formula panem et circenses, pane e giochi del circo: questi erano i due mezzi con cui gli imperatori tenevano buona la plebe. Non a caso gli imprenditori che dirigevano le factiones erano uomini potentissimi e ricchissimi: sapendo di avere il coltello dalla parte del manico, in quanto gli imperatori avevano un vitale bisogno che i giochi avvenissero regolarmente, ne approfittavano per ricattarli e farsi pagare profumatamente.


Il Circo Massimo oggi

In definitiva possiamo dire che tra le corse di carri e l’odierna Formula 1 (o anche Champions League di calcio) vi sono notevoli somiglianze: entrambe sollevavano ingenti interessi economici e focose passioni popolari. Considerate che la Roma antica aveva un milione di abitanti e il Circo Massimo aveva 150.000 posti, se non forse addirittura 250.000: dunque era previsto che almeno una persona su cinque o sei potesse trovare posto agli spettacoli!


Certo queste gare erano molto più pericolose di quelle disputate oggigiorno, come già abbiamo visto, ma ciò non ha impedito che alcuni aurighi riuscissero a correre per anni e vincere innumerevoli sfide (e i conseguenti premi). Ve ne furono anche alcuni che divennero veri e propri eroi della cittadinanza, idolatrati dai propri tifosi e detestati dalle factiones avversarie, si tratta dei cosiddetti “miliari”, gli aurighi che in vita loro riuscirono a vincere più di mille gare!


Una storia degna di Hollywood è quella di Flavio Scorpo, uno schiavo che divenne un bravissimo auriga all’epoca di Domiziano. Correndo, coi verdi, anche più di dieci corse la settimana, vinse talmente tante gare (2048!) da guadagnare una cifra sufficiente a riscattare la sua libertà e finire nell’agio la sua vita… che in realtà fu breve: a 27 anni morì per un incidente in pista e tutta Roma pianse la sua scomparsa (tra l’altro fu il poeta Marziale a comporre il suo necrologio).



Molto curiosa è pure la storia di Gaio Apuleio Diocle, un altro miliario vissuto pochi decenni dopo Scorpo. Egli ebbe una carriera lunghissima, cominciò a gareggiare a 18 anni e andò in pensione a 42, dopo aver vinto circa 1400 gare, su più di 4000 disputate: un palmares degno di uno dei più grandi sportivi di sempre. In particolare divenne una stella del Circo Massimo (tanto da essere conteso tra tutte le factiones), amato per le sue spettacolari vittorie in rimonta. Il record più notevole da lui detenuto è però un altro: sarebbe stato definito, infatti, “l’atleta più pagato di tutti i tempi”, con un guadagno complessivo in carriera di 36 milioni di sesterzi. Se non sapete a quanto ammonti una cifra simile, non preoccupatevi... siete in buona compagnia: vi sono ancora dibattiti tra gli storici sulla corrispondenza tra i sesterzi romani e le monete odierne. Certo però è che, se fosse vera l’ipotesi più ottimista, Diocle avrebbe guadagnato qualcosa come 15 miliardi di dollari: dieci volte più di Michael Jordan! (spoiler: quasi di sicuro non è vero e Diocle ha vinto solo 100 milioni di dollari, ma certe volte è più bello lasciare andare la fantasia, per così dire, a briglia sciolta).

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