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I vichinghi e l'invenzione del Bluetooth

La tecnologia Bluetooth la conosciamo e la utilizziamo tutti, è un sistema di trasmissione di dati senza cavi, eppure non facciamo mai caso alla stranezza del suo nome. Bluetooth, infatti, in inglese significa “dente blu” e apparentemente si tratta di un nome illogico, che non ha niente a che vedere con la tecnologia… e a ben vedere è proprio così: non c’entra con la tecnologia, bensì coi vichinghi!


Sembrerà strano e in effetti lo è, ma per capire la bizzarra origine di questo termine dobbiamo fare un salto all’indietro di oltre mille anni. Nel decimo secolo, in Danimarca, ascese al trono un certo re Harald Gormsson detto “dente blu”. Non si sa se il soprannome derivi dal fatto che un suo dente era marcio e bluastro o forse, più probabilmente, perché era solito tingersi i denti di blu prima delle battaglie per spaventare i nemici (ma vi è anche chi propone, molto prosaicamente, che fosse solo goloso di mirtilli).


Ad ogni modo re Harald “Bluetooth”, o Blåtand in danese, in oltre cinquant’anni di regno riuscì a unificare il territorio della Danimarca (che all’epoca comprendeva lo Jutland attuale e poco più), la quale era sempre stata una terra frammentata tra vari capi guerrieri, e riuscì addirittura a conquistare buona parte della Norvegia. Creò insomma un discreto impero, che sarebbe poi stato ampliato dal figlio Sweyn e dal nipote Canuto, ma non si fermò qui.


Il suo intento non era infatti solo quello di conquistare terre su terre, ma di creare un dominio solido e coeso. Per riuscirvi volle unire tutta la popolazione in un’unica fede: quella cristiana. Harald dunque impiantò il cristianesimo nel suo impero, con un processo di indottrinamento lungo vari decenni e non senza la violenza; nonostante la durezza dei metodi, tuttavia, almeno in Danimarca gli sforzi diedero i loro frutti e la popolazione si convertì: anche in virtù di questo successo, re Harald è diventato un santo della Chiesa. La comune appartenenza alla nuova fede contribuì a unificare il popolo e a fare della Danimarca uno stato discretamente solido e omogeneo.


Facendo un salto temporale in avanti, ci spostiamo al 1996, anno in cui Nokia, Intel, Ericsson, IBM e altre aziende produttrici di apparecchi elettronici si misero d’accordo per standardizzare le loro tecnologie per la trasmissione di dati senza cavi. Quando si dovettero mettere d’accordo per trovare un nome a questo nuovo standard, l’ingegnere della Intel Jim Kardach propose di chiamarlo Bluetooth, dal nome del sovrano danese di cui aveva letto in un romanzo storico sui vichinghi (intitolato The long ships): un sovrano che era riuscito a unire la popolazione con la fede, così come questo nuovo protocollo univa i dispositivi elettronici. L’idea forse voleva solo essere una battuta, ma complice il fatto che non si trovarono altri nomi adatti e complice magari anche che l’azienda Ericsson era svedese, alla fine la spuntò.


Curiosità bonus: se vi chiedete da dove viene il simbolo del Bluetooth, beh… non è altro che la fusione delle due lettere iniziali del nome Harald Blåtand, H e B, scritte in alfabeto vichingo.

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