Cari lettori, notiziona! Fra i tanti lockdown che si sono susseguiti in tempo di pandemia, sono ufficialmente approdato nel club dei gattari! Non che ne sentissi il bisogno. La simpatia che ho per i gatti era già assodata da tempo, soprattutto dopo il mio a tu per tu (anzi, meglio dire fuga a gambe levate, non era stato un vero e proprio duello) con un cane (non mi chiedete che razza fosse, so solo che era a macchie, ringhioso, scontroso, di temperamento apparentemente ‘incazzato’) in Sardegna cinque anni fa, risolto con un mio salto in extremis del cancello di una casa di villeggiatura. Per fortuna solo qualche graffio riportato nell’agilità da “gazzella” che ho scoperto di possedere nello scavalcare recinti rispetto a un potenziale morso canino. Dunque, inconvenienti a parte, riprendendo le fila del discorso, nel mio rapporto conflittuale con le quarantene ne è nato uno speciale col mio gatto, Lillo (guai a voi se mi accusate di avergli affibbiato questo nome dopo aver visto LOL. Ha tredici anni e il nome lo ha scelto mia nonna, che da ormai diversi anni a questa parte lo rifila sempre a qualsiasi felino che passi per questa casa. Ergo accusate lei di poca originalità!). Con Lillo ho stretto un legame “sincero”: appena si accorge della mia presenza, mi saluta con un “miao” energico e fantasmagorico come i suoi occhi accesi, nonostante la veneranda età. Ed io rispondo con un “miao”allegro, a cui ne segue uno suo, uno mio, un altro suo e così via. Sequel di miagolii, botta e risposta. Quindi inizia a dimenarsi claudicante verso la sua ciotola, come per esclamare “ho fame!”. E Da qui nasce il dubbio: non sono mica convinto che sia interessato a chiacchierare con me, sembra più che altro intenzionato a cercare di persuadermi per avere in regalo una doppia/tripla/quadrupla razione giornaliera di croccantini. Furbetto. Oppure gli faccio venire io la voglia di abbuffarsi! Se la seconda opzione è vera, allora non oso immaginare cosa io possa essere alla sua vista.
Comunque, tutto questo preambolo per arrivare ad affermare che Lillo, da buon gatto qual è, mi ha aiutato a trovare l’ispirazione (come dico, l’ispirazione non viene dal cielo, ma nasce dall’esperienza) per un nuovo articolo, alimentando in me curiosità sulla storia di un felino sicuramente più famoso di lui: il noto “gatto di Schrödinger”, il più celebre della fisica quantistica, oggetto di esperimento del paradosso dell’omonimo scienziato.
Il “paradosso del gatto di Schrödinger”, di fatto, è un esperimento mentale, ideato nel 1935 dallo scienziato austriaco, vincitore del Premio Nobel per la fisica due anni prima. Nell’Europa tra le due guerre un’autentica rivoluzione in ambito della fisica si stava plasmando, con la nascita e lo sviluppo della meccanica quantistica, pilastro della fisica moderna assieme alla Teoria della Relatività, grazie ai contributi di Albert Einstein, Werner Eisenberg, Niels Bohr e del nostro Erwin Schrödinger. Queste furono le personalità principali che animarono il panorama scientifico, dando vita ad un acceso dibattito, che vedeva contrapporsi da un lato Einstein e Schrödinger, dall’altra la Scuola di Copenaghen, fondata da Bohr, affiancato dal suo allievo Eisenberg. I primi non digerivano la posizione e le tesi proposte dai secondi, i quali sostenevano l’inesistenza della realtà in assenza di misure e soprattutto la nozione di sovrapposizione quantistica, la quale, applicata a sistemi microscopici, prevedeva la possibilità che tali sistemi fisici potessero trovarsi non necessariamente in stati distinti, ma potenzialmente in una combinazione lineare di stati. Per rendere più chiaro il concetto con un esempio, prendendo in considerazione una caratteristica delle particelle di un atomo, in particolare lo “spin”, ovvero la rotazione, Bohr ed Eisenberg attribuivano alle particelle di un atomo la possibilità di ruotare sia in senso orario che antiorario; quindi di possedere contemporaneamente due proprietà opposte della stessa peculiarità, il tutto in mancanza di una misura effettiva del loro stato di rotazione.
Schrödinger, oppositore, assieme ad Einstein, alle teorie della Scuola di Copenaghen, elaborò un esperimento mentale, appunto quello che sarebbe divenuto il paradosso del gatto, per confutare le tesi della corrente danese, sottolineando come il pensiero di Bohr ed Eisenberg, applicato a sistemi macroscopici, generasse situazioni paradossali. Dunque lo scienziato viennese ricreò cognitivamente una situazione: preso un gatto, immesso in una scatola chiusa, munita di un dispositivo contenente veleno mortale e di un nucleo atomico radioattivo che, nel momento del decadimento, aziona il dispositivo che rilascia il veleno, causando la morte del felino. Tuttavia non è prevedibile l’istante esatto della dispersione del gas tossico poiché il nucleo atomico radioattivo non ha tempo di decadimento determinato. Quindi se non sappiamo quando il nucleo decade, allora non sappiamo quando il veleno viene emesso. Di fatto chi osserva la scatola da fuori non sa cosa succede al suo interno e quindi, dopo un'ora, non è in grado di dire se il gatto sia vivo o morto: al massimo può dire quale è la probabilità di ciascuna delle due situazioni, ovvero il 50 per cento per ognuna. Siamo quindi in una condizione di indeterminazione nella quale non si conosce la sorte del gatto. Secondo lo scienziato, infatti, prima di aprire la scatola è impossibile sapere se il gatto è vivo o morto, ovvero se abbia o meno interferito con il meccanismo. Quindi, per Schrödinger, automaticamente l’animale si trova in uno stato simbolico, indeterminato, in cui è sia vivo sia morto.
Solo aprendo la scatola e quindi dando un senso alla sovrapposizione degli stati, si può risolvere il dilemma. La vita del felino, paradossalmente appunto, è nelle nostre mani. Proprio questo è l’assunto alla base del paradosso di Schrödinger.
Ovviamente, fino a che si parla di un gatto è chiaro che l'idea di considerarlo come vivo e morto nello stesso tempo non ha alcun senso. Quando però si parla delle particelle di cui sono fatti gli atomi - cioè gli elettroni, i protoni - allora l'idea strampalata di pensare che si possano trovare nello stesso istante in tanti stati diversi si rivela quella vincente per spiegare i fenomeni che le coinvolgono. Il paradosso del gatto di Schrödinger consiste quindi nel riproporre queste teorie che si applicano bene per le particelle atomiche (il microscopico), a oggetti o creature del nostro mondo ordinario (il macroscopico). In pratica l’esperimento realizzerebbe uno dei principi base della fisica quantistica: se non si effettua alcuna misurazione, possono esistere più realtà contemporanee. In altre parole “finché non vedo, tutto esiste”. In termini tecnici si dice che esiste la ‘sovrapposizione’, ovvero la coesistenza di più stati.
Ed è da questo fattore di compresenza di più stati che l’esperimento è stato decontestualizzato e utilizzato come metafora, come metro di paragone di due possibili situazioni opposte presenti in uno stesso contesto.
Invero, il paradosso è stato applicato, principalmente all’estero, come confronto all’interno del quadro pandemico: da diversi per descrivere la condizione dell’uomo durante il lockdown, come fosse vivo e morto contemporaneamente; da molti per delineare l’andamento economico del proprio paese, fermo e in divenire nello stesso momento. Figure di rilievo mondiali quali Barack Obama, Bill Gates ed Elon Musk lo hanno inoltre citato più volte nei propri discorsi.
Un paradosso che ha ragione d’essere e ben si adatta al contesto attuale. E che, tornando alla sfera della scienza, sarà alla base di una nuova rivoluzione della fisica quantistica, la seconda, che, per gli esperti, sconvolgerà, in un futuro neanche così distante, le nostre vite.
Comentários