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Introduzione alla Peer Education: la “prevenzione tra pari”


Il sovraffollamento nelle classi popolari era un problema assai frequente nel corso del 1800; a questo si associava uno scarso numero di docenti professionisti. Questo il dilemma alla base di un primitivo tentativo di Peer Education (educazione tra pari) attuato da due studiosi inglesi, Lancaster e Bell, che individuarono in alcuni studenti gli stessi professori.

Dobbiamo aspettare gli anni Sessanta del Novecento per trovare una codificazione più precisa del metodo: possiamo citare il caso di Don Milani, che applicò l’esperienza sopra descritta nella scuola Barbiana, notando che a trarne giovamento non erano solo gli studenti, ma anche gli stessi insegnanti.

La Peer Education, per come oggi noi la conosciamo, trova la sua prima vera e propria applicazione negli Stati Uniti, trovando conforto nel modello del mutuo insegnamento; nel mondo anglosassone, poi, sarà ampiamente utilizzata per contrastare la diffusione dell’infezione dell’HIV.



L’insegnamento reciproco (o “prevenzione tra pari”, come indicato da alcuni studiosi italiani) consente un rapporto di crescita interpersonale: lo studente tutor è responsabilizzato nel suo ruolo di “docente”, andando a sviluppare nel tempo un comportamento propositivo nei confronti non solo della scuola, ma anche dello stesso percorso didattico da lui portato avanti. Contestualmente, l’altro studente sarà così ispirato dal suo insegnate alla pari, andando a lavorare in un ambiente a lui più familiare e sicuro.

Utilizzando l’espressione “prevenzione tra pari”, si insiste sul fatto che la Peer Education viene utilizzato come metodo di prevenzione bottom-up, ovvero partendo dai bisogni e dalla curiosità dei ragazzi, andando a costruire un ambiente stimolante, scardinando la tradizione della classica lezione frontale.


Lavorare in Peer Education significa, inoltre, costruire uno stretto rapporto tra ragazzi e adulti, che si basa sulla presenza di uno di quest’ultimi nella veste di facilitatore degli incontri, così anche da promuovere un dialogo costruttivo, in grado di mettere a confronto generazioni diverse per un passaggio trasversale del sapere.


Il gruppo di lavoro così concepito consente ai ragazzi, così come agli adulti in realtà, di fare esperienza di sé e di non chiudersi in una bolla, divenendo luogo di relazioni particolari, dove acquisire soft skills, conoscenze e nuove capacità comunicative è all’ordine del giorno (o, per meglio dire, dell’incontro).


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