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Istruzioni per l’uso: Il conforto della scrittura

Aggiornamento: 26 mar 2021

Penombra. Il buio austero rifila pugni inquietanti alla luce fredda della lampada a braccio proiettata sulla scrivania, luogo di lavoro, di studio, di sudore sulle carte stampate dei libri, sfigurato dai segni di usura incisi sul legno. Che fatica: prendo un dito, lo adagio lentamente sulle nervature di noce e sento che il piano di lavoro non è poi così piano. Sento sotto la pelle mille dune di sabbia che movimentano il tatto. Ogni tanto lascio qualche impronta, o meglio un po’ di polvere afferra la mia mano. Acari invisibili. Granuli eterei. Disgusto. Perché esiste lo sporco? Perché esiste il dubbio? Non sarebbe più facile se tutto fosse chiaro e pulito? Eppure c’è sempre un velo che ricopre ogni cosa, un manto sottile che cela forse la vera essenza del mondo. Per fortuna il modo di pulire esiste: bastano le dita di una mano, in questo caso... passo l’indice, il medio, l’anulare... non serve sacrificare anche il pollice e il mignolo. Forse non sono così adatti a spazzare via la polvere per via delle loro dimensioni cacofoniche che quasi stonano con la forma affusolata delle altre dita. Non a caso pollice e mignolo sono i più marginali. Non c’è tempo di fare la conta e di prendersi cura di chi è rimasto fuori dall’elite a cui è stata commissionata l’opera. Bisogna fare in fretta: i pulviscoli che si sono accasciati sul tavolo sono troppi per permettere di respirare aria nuova. Dunque inizio a sfregare le dita con vigore: cigolii e frizioni. Come un pittore impressionista (supponiamo infatti che io sia Renoir, l’artista della felicità, dato che io voglio essere felice) disegno pennellate vibranti e trasparenti: due parallele, due rette incidenti, infine una croce, il tutto incorniciato da un quadrato deforme dagli angoli smussati. Ho completato il quadro. Adesso rintocca le corde dell’aria un odore di bruciato, simile al pollo alla brace della domenica. Penso. Oggi è lunedì. Sono le cinque del pomeriggio. Piove. È impossibile che qualche intraprendente si stia cimentando in una grigliata ardente sotto il cielo acquitrinoso. Lo chiamerebbero pazzo e lui se ne vergognerebbe. Inutile. Allora giro la mano supina, la scruto e osservo che i pallidi e rosei polpastrelli adesso sono diventati gobbe incallite e arrossate dallo sfregamento. Ecco da dove viene quel sentore di cenere! Quanta fatica per pulire un po’ di spazio, per capire quale verità si nasconde sotto e rimanerne deluso.



Questo è un piccolo testo descrittivo che avevo scritto a settembre e che ho riscoperto qualche giorno fa, navigando nella babele di file e cartelle del mio Cloud. Ricordo di aver digitato sulla tastiera queste poche parole per trovare sfogo dopo un attacco d’ansia, il primo dei molti che sarebbero venuti a bussare al mio corpo nei mesi a seguire. Ricordo anche che stavo preparando l’ultimo esame della sessione estiva: letteratura italiana contemporanea e moderna, dodici crediti formativi. Eppure non ero così tormentato dal giorno dell’orale che si appropinquava. D’altra parte ero consapevole di stare dando il massimo. Inoltre la fatica dei giorni intensi sulle “sudate carte” era sì a tratti robotica, ma anche edulcorata dal piacere di perdermi e al contempo ritrovare me stesso nei libri di studio, nei racconti e nei personaggi che li attraversavano. Però c’era un che di tormento. Sgomento. Una sensazione di irrealtà che, nonostante la classica noia del lunedì, sconfinava in una penombra per me inquietante, nata dal contrasto tra la luce fredda della lampada a braccio sulla scrivania e il grigio del cielo piovoso che filtrava nella mia camera dalla finestra. L’atmosfera era surreale. La luce tentava di bagnare il mio volto, ma il buio era sempre in agguato, pronto a divorarsela. Una penombra perfetta per ispezionare l’ambiente circostante: la luminosità dava forma agli oggetti, senza che la mia ombra si sovrapponesse ingombrante ad essi. Con le dita toccai la scrivania, per sentire se tutto ciò che vedevo fosse reale. E un secondo dopo cominciai a pulire, a disegnare un quadro, alla ricerca della felicità. Cercavo di ritrovare il contatto con il mondo esterno, che pareva essere sfuggito in quell’attacco d’ansia. Volevo solo controllo e pulizia. Ordine. Nella mia vita, ovviamente. Tornare a respirare, ecco di cosa avevo bisogno... Ma poi ci fu solo odore di bruciato: le dita erano rosse e stanche, quasi abbrustolite dallo sfregamento, ed invecchiarono di qualche anno in pochi istanti. Tutto questo per scovare un po’ di pace e di chiarezza, per capire quale verità si nasconde dietro alla vita. Che fatica. Che delusione, ancora non sono riuscito ad attribuire una spiegazione all’esistenza. Però, ora che ci ripenso, forse è bene non scoprire mai il senso delle cose.

Tranquilli cari lettori, non sono scemo! Né tanto meno negligente nella pulizia... Sono solo un po’ coglione. In buona dose pensante (spero non troppo pesante), in prevalenza sognatore, con qualche vena di esistenzialismo, aspirante felice. Ogni tanto scrivere fa bene all’anima: libera la mente dai pensieri e scioglie un cuore pieno di emozioni; formalizza una sensazione; esterna gioia e dolore. Insomma, la scrittura è un fedele e accurato strumento di introspezione; descrive con sincerità, seppur facendo uso di metafore ed iperbole, come una persona, in un determinato momento, vede la realtà... dico questo secondo la mia esperienza. Infatti il colore che do ogni volta all’ambiente che mi circonda e che traduco in parole dipende, in sostanza, dal mio umore. E mi piace percepire così la scrittura, un po’ come per Van Gogh la pittura. In fin dei conti è anche bello lasciare su un foglio traccia del proprio stato d’animo, per poi rileggerlo in futuro. Gratificante e consolatore, sia negli attimi in cui tutto sarà roseo, sia in quelli che si tingeranno di grigio. È importante avere un “ricordo di sé”, in modo tale da riconoscere i passi in avanti compiuti e da non dimenticare i momenti di difficoltà che hanno portato a scrivere: esternare una sofferenza aiuta a capire il problema e a trovare la soluzione, da tenere sempre a mente per non cadere in futuro nelle trappole del passato. Dopotutto, Verba volant, scripta manent, nel bene e nel male!


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