Sei seduta a un tavolo in buona compagnia, a pochi passi da te c’è il mare e al termine di un’ironica discussione abbassi lo sguardo accennando un sorriso. Passano pochi secondi. Alzi la testa e con la faccia sorpresa affermi: “Io questa scena l’ho già vista!” Resti immobile di fronte allo strano episodio che, se da un lato sembra averti confermato qualcosa, dall’altro ti ha totalmente disorientata. Hai la sensazione che tutto sia esattamente come l'avevi già visto. Eppure non sei mai stata lì prima di quel momento, fino a qualche ora prima non sapevi neppure che quel luogo esistesse. Già lo sai. Hai avuto un déjà vu, quell’assurdo fenomeno che si concretizza proprio nella sensazione di aver già vissuto un determinato momento.
Di fatto, il termine, che proviene dal francese, significa “già visto” e consiste nel ritenere vera una percezione che in realtà non è reale, solitamente infatti avviene facendo esperienze nuove. Questo fatto colpisce la stragrande maggioranza delle persone: si stima che la fetta della popolazione colpita da questi brevi “eventi” vari tra il 30% e il 96% ed è una sensazione che si verifica occasionalmente in un lasso di tempo che va dai 10 ai 30 secondi. In psicologia, il nome ufficiale “déjà vu” si riferisce al prodotto di reazione psicologica di una memoria compromessa, a causa della quale una persona crede di ricordare erroneamente degli eventi. Coloro che hanno provato questa strana sensazione la descrivono come un travolgente senso di familiarità con qualcosa che, per diversi motivi, non è possibile lo sia. Tra la fine del XIX e gli inizi del XX secolo la psicoanalisi fu una delle prime correnti psicologiche che cercarono di dare una spiegazione a questo fenomeno mentale. Freud e Carl Jung diedero una loro spiegazione: il primo lo attribuì a desideri repressi, mentre il secondo alle alterazioni dell’inconscio collettivo. Oggi invece gli studi sono orientati verso i processi cognitivi del cervello umano e le anomalie della memoria. Sono emerse diverse teorie a riguardo, le più diffuse sono quella neurologica, secondo la quale si produce una scarica elettrica nell’ippocampo e nel lobo temporale medio che provoca il fenomeno, giustificando il fatto che chi soffre di epilessia ne sperimenti uno prima di un attacco; la Teoria psicoanalitica dove il subconscio attiva qualcosa che abbiamo immaginato in passato, per esempio in un sogno, o qualcosa che abbiamo già visto, come in un film e quella del doppio processo: la memoria è costituita da due sistemi e quando si verifica un déjà vù questi perdono sincronia. In questo caso si attiverà solo il sistema di familiarità, ma non quello di recupero dell’informazione. Alcuni studi dimostrano anche che il fenomeno del dejà vù si riduca con l’avanzare dell’età e che sia ridotto nell’età evolutiva, tra bambini e adolescenti. Colpisce indistintamente uomini e donne, soprattutto in età adulta e sembra risultare più consistente nei soggetti che viaggiano spesso, a causa della difficoltà nel gestire il jet lag. Inoltre sembrerebbe essere più frequente nei soggetti che godono di buona posizione economica, finanziaria, sociale e con un più ricco bagaglio culturale. Inizialmente gli studi sono stati effettuati su singoli casi clinici affetti da un particolare tipo di epilessia: quello del lobo temporale. Successivamente le procedure sperimentali sono state applicate a campioni più ampi di popolazione in modo tale che i risultati fossero più generalizzabili e significativi. Tuttavia studiare il dejà vù sperimentalmente ha presentato molti ostacoli, ma nonostante le difficoltà, la ricerca in questo ambito ha portato negli ultimi anni a grandi scoperte e ha permesso di far maggiore chiarezza soprattutto sulle basi neuronali e sul canale implicato in questo processo. Inizialmente il dejà vù sembrava fosse dovuto ad un’alterazione mnemonica: al soggetto sembrava quindi di aver già vissuto una determinata situazione perché, in un angolo della mente, per sbaglio, un falso ricordo si attiva. Studi successivi hanno però cercato di dare un profilo ancora più delineato a questo fenomeno, partendo dall’evidenza che la sensazione del dejà vù fosse anche uno dei sintomi degli individui che soffrono di epilessia temporale. Così, dagli studi su soggetti patologici, gli esperti si sono chiesti se fosse possibile sovrapporre il canale implicato in quel tipo di dejà vù, con quello coinvolto da chi sperimenta il fenomeno come soggetto sano.
Uno studio dell’Università di St. Andrews, in Scozia, ha utilizzato la risonanza magnetica per cercare di trovare le origini di questo evento. Per questo, i ricercatori hanno usato un metodo classico per generare “falsi ricordi”. Dal momento che la creazione di un falso ricordo non è la stessa cosa di un déjà vu, i ricercatori hanno aggiunto un nuovo elemento: hanno letto ai partecipanti parole correlate, come acqua, sete, calore senza però nominare “bere”, chiedendo successivamente se ne avessero ascoltate alcune che iniziavano per “B”. La risposta è stata unanime: No. Tuttavia, quando fu chiesto loro se avessero sentito “bere”, non poterono negarlo e la maggior parte di essi mostrava segni di confusione. Data questa contraddizione, i partecipanti hanno commentato di aver avuto questa strana esperienza di déjà vu. E’ emerso quindi che il fenomeno che si verifica nel cervello durante il déjà vu è in realtà un processo decisionale o di risoluzione dei conflitti. Il cervello, eseguirebbe un’operazione di verifica dei fatti; controlla la sua “base di memoria” e invia un segnale quando si verifica un qualche tipo di errore, come per questa contraddizione. In questo modo, si è determinato che il déjà vù sarebbe un’indicazione che il sistema di controllo del cervello funziona correttamente. Questo spiegherebbe perché si verifica molto di più nei giovani adulti e molto meno tra i più anziani: in età avanzata infatti la memoria inizia a subire un deterioramento.
I ricercatori dell’Universitá del Colorado sostengono che esiste una relazione tra i fenomeni di déjà vù e la memoria di riconoscimento. Questo tipo di memoria è quella che ci permette di prendere atto e mettere in relazione tra di loro le esperienze che viviamo. Grazie ad essa siamo capaci di catalogare le esperienze come nuove o già vissute in precedenza, ci è possibile riconoscere un amico o ricordare una canzone. Durante una esperienza di déjà vu siamo convinti di aver già vissuto la situazione ma non ricordiamo quando e perché.
Per chiarire questo meccanismo è stato fatto un ulteriore esperimento: ai partecipanti è stata presentata una lista di nomi di personaggi famosi e quindi delle fotografie, alcune corrispondevano con i nomi della lista, altre no. I risultati furono sorprendenti: anche quando alcuni partecipanti non furono in grado di identificare alcune celebrità dalle foto, avevano comunque una sensazione di familiarità anche se non potevano definire da cosa dipendeva. Lo stesso fenomeno occorreva con delle fotografie corrispondenti a dei luoghi e con delle liste di parole; anche se le persone non potevano identificare i luoghi o le parole, avevano comunque la sensazione di familiarità.
Questo semplice esperimento indicava che in alcune occasioni archiviamo nomi, luoghi, fatti o parole nella nostra memoria ma in una forma talmente disorganizzata che non siamo in grado di collegarli con le nuove esperienze.
Cosí, la teoria che spiega il déjà vù si basa sull'idea che ogni situazione viene archiviata nella nostra memoria ma spesso i ricordi vengono registrati nella nostra mente come elementi o frammenti; così, il fenomeno del “già visto” avviene quando attimi di situazioni attuali si connettono con frammenti di situazioni precedentemente immagazzinati. In questo modo si verifica l’equivoco e appare la sensazione di familiarità con la situazione, quando in realtà si produce una connessione con un fatto isolato e sconnesso dai nostri ricordi di vita, rispetto al quale, non possiamo nemmeno spiegarci quando è avvenuto.
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