Canto XVIII, Ottavo cerchio, seconda bolgia
Già eravam là 've lo stretto calle
con l'argine secondo s'incrocchia,
e fa di quello ad un altr'arco spalle.
Quindi sentimmo gente che si nicchia
ne l'altra bolgia e che col muso scuffa
e sé medesima con le palme picchia.
Le ripe eran grommate d'una muffa,
per l'alito di giù che vi s'appasta,
che con li occhi e col naso facea zuffa.
Lo fondo è cupo sì, che non ci basta
loco a veder sanza montare al dosso
de l'arco, ove lo scoglio più sovrasta.
Quivi venimmo; e quindi giù nel fosso
vidi gente attuffata in uno sterco
che da li uman privadi parea mosso.
E mentre ch'io là giù con l'occhio cerco,
vidi un col capo sì di merda lordo,
che non parea s'era laico o cherco.
Quei mi sgridò: «Perché se' tu sì gordo
di riguardar più me che li altri brutti?».
E io a lui: «Perché, se ben ricordo,
già t'ho veduto coi capelli asciutti,
e se' Alessio Interminei da Lucca:
però t'adocchio più che li altri tutti».
Ed elli allor, battendosi la zucca:
«Qua giù m'hanno sommerso le lusighe
ond'io non ebbi mai la lingua stucca».
Appreso ciò lo duca «Fa che pinghe»,
mi disse «il viso un poco più avante,
sì che la faccia ben con l'occhio attinghe
di quella sozza e scapigliata frante
che là si graffia con l'unghie merdose,
e or s'accoscia e ora è in piedi stante.
Taide è, la puttana che rispuose
al drudo suo quando disse “Ho io grazie
grandi apo te?”: “Anzi maravigliose!”.
E quinci sien le nostre vite sazie.»
In gergo, per esprimere fastidio e preoccupazione profondi dovuti a situazioni difficili, utilizziamo la romantica espressione “essere immersi in un mare di merda”. Ora, però, immaginatevi di esserci immersi dentro letteralmente. Una grossa latrina, le esalazioni putride di escrementi umani lasciano muffe mollicce e marroni sulle pareti e voi sguazzate... Ok, ok, basta. È già abbastanza disgustoso così. Dopo questo piacevole excursus, vi lancio una altrettanto piacevole provocazione: vi sentite ancora in diritto di ridere del povero Dante, ogni volta che sviene per qualche motivo? No, immagino di no. Chiunque sverrebbe, se si trovasse costretto ad attraversare un ponticello infernale sospeso sopra ad un oceano di escrementi ed esalazioni mortifere. Senza considerare il fatto che pare che Dante soffrisse pure di epilessia, spiegazione altrettanto plausibile per i suoi improvvisi svenimenti.
Ma arriviamo al punto. Dante e Virgilio stanno allegramente passeggiando per l'inferno: diavoli, fuochi, gente morta e sventrata e tante altre cose belle. Davanti a loro il selciato termina con un ponte roccioso, l'atmosfera è tetra, l'aria pesante, e tutto intorno a loro ci sono suoni bizzarri ed inquietanti, come di... mucche che soffiano. Sappiamo bene che Dante buttava all'inferno cani e porci, ma nessuno in effetti ha mai parlato delle mucche. Quei suoni animaleschi sono in realtà le dimostrazioni di quanto ci sia al mondo di più umano: il peccato. E i peccatori di cui stiamo parlando sono essi stessi, come si suol dire, pezzi di merda. La legge del contrappasso, in alcuni casi, è essa stessa poesia.
Cercando di vedere (e di non svenire) oltre la nebbia pestilenziale che esala dalla seconda bolgia, Dante vede gli adulatori. O meglio, li intravede sotto gli strati di escrementi umani che li ricoprono. Sbuffano con il naso e si picchiano da soli a palmi aperti, colpendosi ogni parte del corpo, le unghie incrostate, gli occhi a malapena aperti.
Chi sono gli adulatori? Vi sembrerà sorprendente, ma Dante ci aveva visto giusto, parlando di cacche e robe varie: sono quelli che oggi definiremmo volgarmente i “leccaculo”. Quelli che si fanno belli, stringono le mani, regalano carezze fasulle solo per fare buona impressione e scalare la piramide sociale ed economica, riempiono di complimenti profumati e sguazzano in mezzo alla freschezza soddisfacente delle loro bugie. Ma ci pensa il sommo poeta, il supereroe, paladino della giustizia, fantasioso come nessun altro può essere: boom, legge del contrappasso! Carezze e strette di mano? Ora sono solo schiaffi e botte. Profumi e bugie? Ora sono il loro bel mare di merda.
Ed eccoci arrivati ad uno degli endecasillabi più belli, sorprendenti e musicali dell'intera commedia, un'opera d'arte della rima e degli ictus: “vid'un col capo sì di merda lordo”. Pronunciatelo in maniera poetica, coraggio.
Dante, qui, parla di Alessio Interminelli, personaggio piuttosto sconosciuto per noi moderni, talmente ricoperto di merda che il poeta non riesce a distinguere se sia chierico o laico (cioè se abbia la chierica o meno, se si tratti ovvero di un uomo di chiesa). Sorpresa delle sorprese: l'inferno è pieno della presenza della chiesa. Oppure, se preferite, la chiesa è piena della presenza dell'inferno. Non credo che cambi molto.
Come sempre, il buon Virgilio è pacato, calmo e con lo sguardo privo di malizia (dopotutto lui non ha mai scaraventato nessuno nella merda), ma altrettanto giudicante. Fa distogliere lo sguardo di Dante dalla dubbia chierica dell'Interminelli, per guidarlo verso una figura che, al contrario, è decisamente indubbia: si accoscia e si rialza di continuo, graffiandosi con le unghie piene di sterco. È la prostituta Taide, come si capisce anche dai suoi eloquenti movimenti, che lasciano ben poco spazio all'immaginazione. Taide è la prima donna, dopo Francesca da Rimini, che ritroviamo nell'inferno, e, per quanto, conoscendo Dante, l'inferno dovesse essere pieno di prostitute, in realtà è l'unica che viene nominata. Altrettanto sorprendente è riconoscere che Taide sia stata gettata brutalmente nello sterco non per lussuria, ma per adulazione. Secondo Cicerone, che avrebbe male tradotto un passo di Terenzio, attribuendo a Taide una battuta in realtà detta da altri, Taide avrebbe risposto al suo amante, che le chiedeva se avesse grazie presso di lei (se le piacesse e la facesse godere), “moltissimo”. Sarebbe bastato un semplice sì (il troppo stroppia), ma lei mentì, e Dante pensò bene di attenersi ad una sola versione (ovviamente quella ciceroniana, mos maiorum eccetera) e di punirla.
Cavoli suoi; aveva a pensarci prima.
Comments