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corradociampi

Le porte bruciate dell'Istituto Superiore di Sanità

Nella serata del 14 marzo qualcuno ha appiccato il fuoco alla porta di ingresso dell'Istituto Superiore di Sanità a Roma.

L'atto non è stato ancora rivendicato, e per questo motivo gli investigatori non escludono nessuna pista, dall'azione solitaria di un folle all'intento intimidatorio del gesto, senza scartare la pista terroristica.

Senza addentrarsi ulteriormente nei moventi, il gesto non può essere declinato come semplice vandalismo e bollato come episodio di cronaca: la scelta del bersaglio, di per sé, è già sufficiente a delineare, in linea di massima, l'obiettivo simbolico dell'atto: quello di protesta contro la situazione che il nostro paese, da ormai un anno, vive.

Il clima di difficoltà crescente degli ultimi mesi dell'anno scorso si sta trasformando, con rapidità allarmante, in vera e propria insofferenza, aggravata dal susseguirsi di comunicazioni contraddittorie all'interno di un'opinione pubblica e di una comunicazione istituzionale caotica, che lascia disorientati i cittadini, esausti dopo un anno di chiusure, limitazioni e speranze più o meno concrete.

Al clima di attesa che ha segnato l'arrivo in Italia delle prime dosi di vaccino si è ora sostituita una certa impazienza per la somministrazione, l'unico vero modo per uscire dalla situazione di crisi che stiamo vivendo, impazienza che, di fronte alle continue comunicazioni dei fornitori, affrettatisi a informare della riduzione delle consegne, ha assunto i contorni dell'esasperazione.

Non deve meravigliare se, dopo un anno, la capacità di attesa si è ridotta al minimo, e se le notizie di riduzione delle quantità vengono accolte con sdegno, se non con rabbia: per mesi si è discusso sulla necessità di vaccinare, cercando di orientare l'attenzione della popolazione verso la meravigliosa notizia che a breve si sarebbe potuto vedere la luce dopo un anno di buio, difficoltà e dolore.

Tuttavia, di fronte all'ennesimo caos esploso riguardo l'approvvigionamento dei vaccini e alle vere e proprie lotte tra professioni che si sono scatenate per arrivare prima degli altri, non si può non mettersi una mano sulla coscienza, e rendersi conto che la situazione è grave perché il malessere non viene raccontato, né denunciato: è il malessere dei giovani, costretti in casa per la sospensione, affrettata o meno che sia, delle attività didattiche in presenza e di conseguenza delle occasioni residue di socialità; il malessere degli operatori sanitari, che dopo un anno di incessante lavoro, devono nuovamente ascoltare le notizie non certo confortanti di ritardi e omissioni nelle consegne; il malessere di una società conflittuale, sfinita da discussioni futili e dalla lontananza, con malesseri psicologici diffusi e sottovalutati, in una società che dell'apparenza sembra aver fatto il proprio vessillo e nella quale l'ansia, la tristezza e la disillusione non sembravano problemi veri e dei quali ci sta finalmente accorgendo, seppur con molto ritardo.

Il gesto compiuto contro le porte dell'Istituto Superiore di Sanità, per quanto da condannare fermamente, deve però far suonare un campanello d'allarme: non solo la popolazione è stanca, ma una sua parte è pronta a giustificare, se non addirittura ad approvare, un gesto fine a sé stesso e completamente inutile, senza senso e senza finalità che non fosse quella di distruggere qualcosa.

Basta fermarsi, dopotutto, e chiedersi "a cosa è servito dare (parzialmente) fuoco alle porte dell'Istituto Superiore di Sanità?" A niente, perché quel fuoco non scaccerà la pandemia, ed i problemi che affliggono la nostra società non saranno cancellati dalle fiamme, ma quel gesto immotivato porta con sé un'altra considerazione importante, con la quale è altrettanto bene fare i conti: la criminologia da decenni ci insegna come l'attitudine criminale non debba ricercarsi nella fisionomia del colpevole, ma vada ricercata nell'ambiente in cui egli ha vissuto o nel quale tuttora vive, nei trascorsi, nel quadro psicologico del soggetto; fondamentale, secondo la criminologia, è rendersi conto che chiunque, preso il suo contesto sociale, economico e soprattutto psicologico, può lasciarsi andare alle pulsioni violente, e per questo, secondo le moderne teorie del diritto penale, il compito delle istituzioni è prevenire, non punire.

Il rogo appiccato alle porte dell'Istituto Superiore di Sanità è un monito importante a tutti noi: potrà anche essere opera di un folle, ma può darsi benissimo che così non sia, ed è importante quindi rendersi conto dell'esasperazione dilagante, e di come su questa siano pronti a soffiare soggetti che dalle condizioni difficili traggono la propria forza, pronti a foraggiare quel malcontento acceso come una miccia.

Si tenga conto, nella difficile opera di gestione che le istituzioni sono chiamate a fare, di questo: in questo periodo storico c'è bisogno di concretezza, di azioni che possano portare il corpo sociale a sentirsi meno solo, perso in un oceano di opinioni differenti e contrastanti ed esasperato da inutili liti.

C'è bisogno, in un momento storico così difficile, di ritrovare lo spirito di comunità, di far sentire meno solo chi ha paura e chi soffre, chi ha incertezze per il futuro: perché un futuro c'è, e ad esso dobbiamo guardare con speranza e non con rassegnazione, consapevoli della capacità dell'essere umano di superare le difficoltà solo se agirà insieme, a partire dai condomìni fino alla comunità internazionale.

Con più rispetto, con più umiltà e con tanta concretezza, perché ciò di cui adesso sembra esserci bisogno è di parole che non spariscano al primo colpo di vento, ma che possano essere il punto di partenza per uscire, finalmente, dall'incertezza.

Ciò che si può dire oggi, con certezza, è che dobbiamo tener duro, perché la luce, nonostante tutte le difficoltà dei nostri tempi, si avvicina.


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