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Lolita

Lolita, light of my life, fire of my loins. My sin, my soul. Lo-lee-ta: the tip of the tongue taking a trip of three steps down the palate to tap, at three, on the teeth. Lo. Lee. Ta. She was Lo, plain Lo, in the morning, standing four feet ten in one sock. She was Lola in slacks. She was Dolly at school. She was Dolores on the dotted line. But in my arms she was always Lolita.









Sublime, elegante e piacevolmente assurdo. Assurdo come uno scrittore russo sia riuscito tramite l‘apprendimento di una lingua straniera ad utilizzare quest‘ultima come quando si stende la pasta fresca, come quando si spazzolano i capelli, come quando si compone della musica. Perché basta questo incipit per capire che la prosa di Nabokov è quasi poesia, è quasi musica, è arte pura. Assurdo a come tale maestria nello scrivere corrisponda una potenza verbale che oltrepassa l‘etica, la morale, il buon senso, il politicamente corretto per giungere ad una pienezza estetica che dice e non dice, lasciando che un argomento a dir poco spinoso diventi una storia che non ha pretese, se non quella di essere raccontata.



La genesi: fatto di cronaca o pure immaginazione?

«Il primo vero palpito di Lolita mi attraversò verso la fine del 1939 o all'inizio del 1940 a Parigi, mentre ero immobilizzato da un forte attacco di nevralgia intercostale», scrisse Nabokov nella prefazione alle edizioni francese (1957) e italiana (1966) del romanzo, pubblicato inizialmente a Parigi nel 1955 e solo dieci anni più tardi tradotto in russo (Лолита) dallo stesso autore. Benché Nabokov abbia sempre negato di aver attinto la storia dalle cronache, nel 2018 la giornalista Sarah Weinman pubblica il libro “The Real Lolita”, dove afferma che l'autore russo avrebbe preso spunto da un vero caso risalente al 1948.


In quell’anno, infatti, una ragazzina di 11 anni di nome Florence Sally Horner venne rapita all'uscita dalla sua scuola a Camden, New Jersey, dopo essere stata ingannata

da Frank La Salle, un cinquantenne camuffato da agente FBI. Prigioniera e vittima di ripetuti abusi sessuali, viaggiò assieme a La Salle per ben 21 mesi attraverso gli USA. Una volta trovato il coraggio di confidarsi, fu finalmente liberata. Tuttavia, il suo destino è infelicemente simile a quello di Hester Prynne, la protagonista de ‘La Lettera Scarlatta’. Come Hester, difatti, una volta tornata nella sua comunità, venne colpevolizzata ingiustamente di essere niente meno che una "prostituta". La vicenda si concluse tristemente con la morte di Florence, appena quindicenne, in un incidente stradale. In verità, diverse sono le motivazioni per le quali si può supporre che Nabokov abbia preso spunto da questo caso di cronaca: oltre all'esplicita menzione che l’autore fa del caso Horner nel capitolo 33, parte seconda del libro, la Weinman arriva a citare gli appunti sulla storia di Florence e la nota sulla morte dell'adolescente già presenti sul manoscritto del romanzo. Resta il fatto che la stesura de L'incantatore, lavoro non pubblicato del 1939, tende a dimostrare invece come il tema centrale del futuro Lolita si agitasse nella mente di Nabokov molto prima del caso Horner.



Ma di cosa tratta Lolita?

Lolita è la scabrosa storia di un amore, se così si vuol chiamarlo, tra un attempato professore di origine europea e una ragazzina dodicenne americana, spregiudicata e sessualmente precoce. L’immaginario curatore del manoscritto che segue il prologo, scritto da un certo John Ray R., è per l’appunto un professore di letteratura francese ormai trentasettenne, che si firma con lo pseudonimo di Humbert Humbert. Ciò che il lettore pensa di avere tra le mani è infatti un memoir di H.H., in realtà un narratore inaffidabile, ma assolutamente persuasivo. È talmente abile, infatti, con le parole (dietro la sua penna naturalmente si cela la finezza verbale di Nabokov) che a momenti il mondo che descrive può apparire veritiero e addirittura fiabesco. A partire dalla descrizione delle cosiddette ‘ninfette’: «Adesso voglio esporre il seguente concetto. Accade a volte che talune fanciulle, comprese tra i confini dei nove e i quattordici anni, rivelino a certi ammaliati viaggiatori - i quali hanno due volte, o molte volte, la loro età - la propria vera natura, che non è umana, ma di ninfa (e cioè demoniaca); e intendo designare queste elette creature con il nome di "ninfette".».

La prima ninfetta con cui Humbert, da ragazzino, entra in contatto, è Annabel Leigh, una preadolescente con la quale il rapporto rimane incompiuto a causa della prematura morte per tifo. È lei, in senso dannunziano, la fusione di donna angelica e femme fatale, il connubio di due inclinazioni femminili contrapposte e, per questo motivo, per H.H., irresistibili. Quella del protagonista è tuttavia una patologia, naturalmente, in quanto non si parla di donne, ma di giovanissime adolescenti, se non addirittura bambine. Ma a questo punto, una volta che il lettore avrà assaporato le sue ingannevoli, eppure incalzanti, suggestive parole di disperazione e ossessione perturbante, resterà ben poco spazio alla riflessione etico-morale degli avvenimenti.

Lo stesso lettore si chiederà: è la piccola Dolores Haze (la nostra Lolita) ad essere maliziosamente travolgente e dunque in qualche modo colpevole del tormento di Humbert o il contrario? D’altronde il plot è un susseguirsi di inseguimenti per mano, in primo luogo, del professore malato e, in secondo luogo, di una figura fantasma, che sembra quasi simboleggiare il senso di colpa che il protagonista prova o dovrebbe provare per quello che sta facendo. Ma esattamente cosa sta facendo il nostro, ci verrebbe da dire, “povero” Humbert Humbert? Nabokov preferisce non dirlo espressamente. È questo, dopotutto, il suo stile. È pur vero che i due, Dolores e il neoacquisito patrigno, viaggiano di motel in motel attraversando l’America, quasi scappando dalle loro stesse ombre, e fuggendo da quella figura seminascosta che piano piano prenderà forma, diventando addirittura ingombrante e decisiva per la narrazione. Lolita e Humbert intrecciano una relazione che ha come parole chiave incesto, pedofilia, ossessione e manipolazione.

Sarebbero bastate queste quattro parole per meritare una censura negli anni ‘50. E, difatti, il romanzo fu accusato di pornografia.

Ma di pornografia ce n’è ben poca in Lolita. Le parole di Nabokov trasudano eleganza e morbidezza; lo scrittore non si presta alla banalità e all’immediatezza della pornografia, bensì si concede alla raffinatezza di un erotismo anche perverso, estremamente tormentato, addirittura, come si è detto patologico. Ma lo fa in grande stile. D’altro canto la letteratura non deve insegnare, deve raccontare. E Lolita non insegna, racconta. Il lettore non deve giudicare un romanzo, deve immergersisi dentro, deve lottare contro le logiche del romanzo stesso, deve anche volere a tutti i costi liberarsene, per quanto lo consuma, anima e corpo. Lo stesso Nabokov del resto afferma chiaramente: "Si dà il caso che io sia il tipo di autore che, quando comincia a lavorare a un libro, non ha altro intento se non quello di liberarsi del libro medesimo".

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