Cadevano coriandoli dal cielo come pioggia quel giorno. Io alzavo gli occhi in su, le braccia mezze spalancate, la bocca semiaperta. Il sole brillava con un'intensità tale da accecarmi, i coriandoli sembravano piccoli buchi neri visti in controluce. Non credo di essere mai stata così felice, dopo.
Mi sono chiesta molte volte se il picco di felicità non sia anche il momento in cui questa inizia a morire, come se dopo tanta meraviglia non potesse più esistere nulla da reggerne il confronto, solo un mondo vuoto e buio, abbandonato nel ricordo di un momento che non tornerà.
Non so perché, ma per qualche oscuro motivo sono sempre i finali delle cose quelli che ricordo meglio. L'ultima frase di un bel libro, l'ultima nota di una canzone, l'ultimo bacio, l'ultima stretta di mano. Non mi rimane molto del "mentre", del "nel frattempo", dei paragrafi centrali. Il mio prof preferito a scuola ce lo diceva spesso, quando ci insegnava a scrivere bei temi: "la chiave sta nell'inizio e nella conclusione. Un buon inizio ti farà venire voglia di continuare, una buona conclusione ti farà venire voglia di sorridere, sospirare, e pensare alla vita". Io me lo immaginavo, sulla scrivania di casa sua, appoggiare un buon tema sul legno, reclinare lo schienale della sedia e restare in silenzio per qualche minuto, senza guardare niente, senza nemmeno necessariamente dover pensare a niente, immobile nell'assaporare quell'ultima parola.
Ci sono 13 ultime parole nella mia vita, o meglio, ultimi sintagmi di frase: "saremo amiche per sempre"; "non sono sicuro di amarti"; "ho scoperto di essere gay"; "prendetevi cura della mia famiglia"; "la vita è un punto interrogativo"; "a tutti i poeti capita di sbagliare un verso"; "sei così incoerente"; "non mi frega niente di te"; "spero che avrai una bella vita"; "la vita è mistero, cara signorina"; "non è un buon momento per la nostra relazione"; "sei un'egoista"; "un giorno capirai". Poi ho capito? Risposta: no. Non ho capito, niente, mai.
Cadevano coriandoli dal cielo, non era neppure più carnevale. Li aveva comprati quasi per scommessa, volevamo tirarli sui bambini più piccoli come i bulletti americani che si vedono nei film. Poi non lo avevamo fatto, ce li eravamo tenuti per noi e ora ballavamo sotto una pioggia colorata di frammenti di carta, come sotto le luci da discoteca. Veniva voglia di allungare la lingua ed acchiapparli come fiocchi di neve, e poi baciarci con il freddo in bocca.
Avevamo 13 anni, e vorrei dire che da allora abbiamo vissuto per sempre felici e contenti. Mi piace raccontare di inguaribili storie d'amore, non perché mi piaccia il loro lieto fine, ma perché è l'unico modo che ho per poter percepire l'assenza di quella stessa, inevitabile fine. Non racconto mai la conclusione di una storia; nelle storie d'amore che invento non esistono finali.
Mi immagino le cose come quel nostro ultimo lancio di coriandoli. La conclusione perfetta per un'infanzia perfetta e per un amore acerbo altrettanto perfetto. In fisica si chiama moto parabolico: una prima fase di ascesa in decelerazione, un momento culmine con velocità 0, una seconda fase di discesa con accelerazione gravitazionale. Non è l'atterraggio, la conclusione del lancio: è la sua altezza massima, il momento perfetto dopo il quale le cose iniziano a precipitare. Lanciammo i coriandoli, arrivarono in cima, ad un paio di metri da terra, forse, ma sembravano sopra le nuvole.
Il tempo si fermò, improvvisamente, centinaia di frammenti colorati sospesi nell'aria, e noi liberi di fare qualsiasi cosa sotto quell'ultimo attimo di eternità, il nostro regalo d'addio.
In un istante avremmo potuto crescere ed invecchiare insieme, convivere, cucinare fianco a fianco il dolce della domenica, fare figli, prendere uno o due cani, andare in pensione, viaggiare nei nostri ultimi anni, ascoltare Raffaella Carrà alla tv per l'ultimo dell'anno.
Invece adesso di quei coriandoli non è rimasto più niente. La nostra piccola storia, le nostre parole, la dolcezza del primo amore, adesso, piano piano, si confondono tra tutti i ricordi e le conclusioni accumulate negli anni, sbiadendo con il passare dei giorni, così come fanno i coriandoli al vento.
Potrei dire che, tutto sommato, ogni istante di quei momenti ha fatto scaturire una lunghissima catena di conseguenze, le cui ripercussioni perdurano fino ad oggi. Dopotutto, come si suol dire, non si è che il frutto delle proprie esperienze passate.
Potrei dire che forse esiste ancora qualcosa, dopo l'impatto violento con il terreno.
Potrei quasi dire che le cose non finiscono, ma si rincorrono soltanto.
Potrei quasi dire che, secondo questo presupposto, questo articolo non ha bisogno di conclusione.
Oppure, potrei dire ch
Comments