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Nessuno dei nostri riferimenti è puramente casuale : giudizio o sentimento?


Litighiamo, discutiamo, alziamo la voce e poi ce ne andiamo rimuginando per un tempo generalmente soggettivo su quanto accaduto. Ogni tanto succede, siamo esseri umani, è normale, dicono, non si può mica essere sempre tutti d'accordo. Successivamente, nella migliore delle ipotesi, uno dei due allenta la presa, accantona l'orgoglio e chiede scusa. Altrimenti, se il legame non era poi così forte, potrebbe essersi palesata l'occasione giusta per tagliare la corda una volta per tutte. Problema risolto.


Numerosissime sono le discussioni nelle quali ogni persona si trova coinvolta nel corso della vita. Una semplice parola può bastare a rappresentare la scintilla in grado di scatenare un putiferio. Il fatto è che non è mai colpa nostra, o meglio, se si è agito in un certo modo è perché l'altro si è comportato in modo tale da scatenare in noi una qualche reazione. Arrivare in ritardo, essere stanchi, demotivati oppure tristi dipende sempre da terzi: il traffico, lo studio, un problema…


E se ci fosse un modo per evitare le discussioni senza aggirare la questione?

A questo proposito, Marshall Bertram Rosenberg (1934-2015), psicologo statunitense, ci invita ad una riflessione alternativa. Nel 1960 dà origine alla comunicazione nonviolenta (CNV) detta anche comunicazione empatica, ovvero un processo di comunicazione che aiuta ad evitare le spiacevoli incomprensioni derivanti da una comunicazione approssimativa, orientandosi verso una prospettiva con esito “win-win” per entrambe le parti.


Com'è possibile? Per spiegare tutto ciò Rosenberg contrappone quello che definisce il linguaggio “dello sciacallo”, ovvero quello che tutti utilizzano comunemente, fatto di giudizi, paragoni, classifiche, punizioni, in cui la responsabilità viene sempre scaricata su altro, a quello “della giraffa” che si identifica nella CNV, basato invece sull’ascolto di sé stessi e degli altri, in cui l’empatia è l’elemento fondamentale.

(Marshall Rosenberg, 1990- wikimedia)


Ma come si diventa empatici? Rosenberg sostiene che l’empatia sta in ognuno di noi naturalmente, poi però in base all’educazione che riceviamo, alle esperienze e al contesto in cui viviamo, possiamo coltivarla o meno. Per essere empatici con gli altri, dobbiamo esserlo anche con noi stessi, per questo motivo, ancora prima di arrivare all’empatia, secondo Rosenberg è fondamentale coltivare una forte auto-empatia comunicando con noi stessi in modo oggettivo, distinguendo i bisogni che stanno alla base dei nostri pensieri e dei nostri sentimenti, ascoltandoci. Quando diciamo di essere scoraggiati, confusi, arrabbiati siamo convinti di esprimere dei sentimenti, ma in realtà non è così. Questi non sono altro che giudizi che abbiamo nei confronti degli altri ma potremmo anche definirli i “sentimenti che proviamo quando non ascoltiamo i nostri bisogni”.

Il padre della CNV parla chiaro: “La causa dei nostri sentimenti sono i nostri bisogni”. I bisogni di ogni persona sono universali, indipendentemente da sesso, etnia, età o origine ma è bene distinguere tra essi e le strategie che usiamo per soddisfarli. Il bisogno di acqua, ad esempio, lo abbiamo tutti, ma le strategie che adottiamo per soddisfarlo sono molteplici: c’è chi si disseta con acqua naturale, chi con del succo, o con un bicchiere di vino… Questo vale per ogni bisogno. Il bisogno è condiviso con tutti gli esseri umani e abbiamo tante strategie diverse a disposizione per prendercene cura. La CNV ci allena ad osservare il nostro mondo interno con spirito critico e a fare lo stesso con i nostri interlocutori. Chi pratica la CNV imparerà a fare a meno dei meccanismi di difesa/attacco verbale ed eviterà di allontanarsi banalmente da situazioni di giudizio e critica, piuttosto porrà la questione diversamente. Di conseguenza sarà in grado di riconoscere quali sono i bisogni profondi che si celano dietro i comportamenti umani all'apparenza più incomprensibili. Infine Rosenberg sintetizza il processo di comunicazione della CNV in quattro passi: osservazione dei fatti, identificazione dei sentimenti, riconoscimento dei bisogni ed espressione delle richieste, con particolare attenzione che esse non siano riportate sotto forma di pretese.

Bene, la teoria ce l'abbiamo, non ci resta che metterla in pratica!


Chi l’avrebbe mai detto che per evitare spiacevoli discussioni saremmo dovuti partire dal riconoscere i nostri bisogni?


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