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Perché diciamo "candidato"?

Negli ultimi mesi, settimane e giorni, si è fatto un gran parlare dell’elezione del presidente della Repubblica. Politici, giornalisti e intellettuali avanzavano ognuno qualche proposta: si parlava di un candidato del centrodestra, si auspicava un candidato della sinistra, un candidato-tecnico, un candidato-donna e così via, in una ridda di nomi tra il serio e il faceto.


La parola “candidato” era sulla bocca di tutti i commentatori e allora perché non cogliere la palla al balzo e andare a scoprire la sua origine?


Anche a orecchio, si capisce che questo vocabolo ha qualcosa in comune con “candido”, ossia, da Treccani, “bianchissimo, di una bianchezza lucente”, ma pure “pulito, puro, schietto”. L’origine del termine risale però molto addietro nel tempo: addirittura fino a Roma.


Gli antichi romani erano molto attenti alle simbologie e avevano perciò introdotto la consuetudine per cui chi concorreva per una carica pubblica o era in lizza per delle elezioni si doveva presentare in pubblico vestito con una toga bianca, in latino detta appunto candida. Lo scopo di ciò era mandare un messaggio simbolico e subliminale: così come il suo abito era pulito e privo di macchie, anche il candidato (da candidatus, colui che indossa la candida) era un uomo puro, non aveva macchie sulla coscienza o scheletri nell’armadio.


Pensate, dunque: alla lettera il termine “candidato” indica il politico integerrimo, retto e incorruttibile… (Non sapete che tentazione che ho ora di chiudere l’articolo con le parole “non come oggi”, ma no via! Mi rifiuto di essere così banale! Forse è meglio se ci fermiamo qua…)

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