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Perché studiare Venezia; l'eredità dello Stato da Mar e la sfida navale italiana


Uno dei concetti chiave sia in Geopolitica sia nelle Relazioni Internazionali riguarda l'eterna dicotomia tra potenze di terra e potenze di mare.

Solitamente una nazione sceglie una delle due vie in base al proprio contesto di riferimento ed alle possibilità d'impiego del proprio potenziale; e quasi mai tenta una fusione tra i due approcci. In quest'ultimo caso si registra quasi sempre la medesima tendenza storica che porta al collasso, a causa dell'insostenibilità di un ottenimento di supremazia sia sulla terra che sul mare.

Sempre riferendosi a casi storici, erano potenze marittime la Gran Bretagna, il Portogallo e Atene; mentre lo erano di terra la Francia, la Russia e Sparta. Ovviamente alcune di queste nazioni hanno mantenuto la loro condizione anche oggi, e non sono gli unici esempi che potremmo citare.

Per vederla con l'approccio geopolitico, che non esaurisce l'analisi della politica internazionale ma aiuta a comprendere le scelte strategiche, abbiamo due varianti afferenti a due teorici fondatori della disciplina: Alfred Mahan e Halford Mackinder.

Mentre il secondo concentrò la sua analisi sul cosiddetto "Cuore della Terra", ovvero la dimensione rientrante nella massa euro asiatica, che, da Lisbona a Vladivostok, risulterebbe il perno geografico fondamentale per controllare gli equilibri internazionali; il primo si focalizzò sui vantaggi offerti dal dominio navale.

Proprio su quest'ultimo approccio occorre soffermarsi; in quanto, sempre secondo il nostro autore, ottenere il dominio dei mari equivale all'ottenimento del dominio dei commerci e dunque degli equilibri mondiali.

Trasponendo tutto in un'immagine; si può raffigurare virtualmente questa dialettica come la piovra che tenta di avvolgere e stritolare la preda.

Perché la guerra navale è diversa da quella di terra? Perché cannoneggia le coste dove sono presenti le infrastrutture portuali vitali dell'avversario, ma soprattutto perché attua blocchi navali che, per restare su un piano immaginifico, tolgono il nutrimento alla preda; ovvero la escludono dal sistema di libero scambio andando quindi ad isolarla.

E perché sarebbe un approccio migliore rispetto alla guerra di terra?

Perché la guerra di terra è la guerra totale per eccellenza, sia sul piano squisitamente geografico sia sul fronte dei mezzi che la vastità nonché complessità geografica costringe ad impiegare. Mentre lo sforzo diventa generale, se non totale, in maniera quasi forzata su terra; sul mare il tutto si limita al commercio e alla libertà di movimento del nemico. Le risorse e il potenziale sono impiegabili e concentrabili su un obiettivo specifico e in misura massimamente calibrata; il che rende tale approccio molto valido per un paese come l'Italia, disponente di certi vantaggi ma di poche risorse.

Dunque perché Venezia?

Chi conosce la politica estera italiana è ben consapevole del fatto che il suo spazio d'azione precipuo risulti essere il bacino del Mediterraneo, fino a toccare aree prossime a quest'ultimo. È così sin dall'era monarchica, ma anche da prima che l'Italia venisse unificata.

La Serenissima Repubblica di Venezia è stata forse la più longeva e la più potente delle repubbliche marinare formatesi nel contesto italico. Questo perché le sue rotte commerciali agivano sulla connessione tra il mercato europeo continentale e quello orientale; connessione che passava dall'Anatolia e dal Mediterraneo orientale, vista l'assenza del Canale di Suez in quel tempo.

Se Venezia è riuscita a lungo a mantenere il controllo commerciale su questo sistema di rotte è stato grazie alla sua dominanza di un certo spettro marittimo, che veniva però contesa dall'Impero Ottomano.

Se andiamo ad osservare le carte del tempo, noteremo che i possedimenti veneziani erano molto variegati nelle loro collocazioni, non avevano continuità territoriale con la madrepatria in quanto isole o porzioni di terraferma e talvolta risultavano pure difficili da gestire logisticamente.

Tutto questo insieme di territori prendeva il nome di "Stato da Mar", che si sommava poi al "Dogado" e allo "Stato da Tera".

Quello che a noi interessa capire in prima battuta è il vantaggio comparato legato a questa frammentazione territoriale apparentemente caotica contrapposta ad un'alternativa continuativa più sensata, sempre in apparenza.

La ragione fondamentale di questa impostazione è da vedersi nel controllo effettivo dei punti chiave capaci di garantire il libero scambio commerciale nel tratto di mare interessato, limitando costi e investimenti altrimenti ben più ingenti se riferiti a grandi possedimenti di terra. Abbiamo quindi il controllo della Dalmazia e di Durazzo, snodi essenziali per l'Adriatico e vicini al famoso porto di Ragusa, assieme al Negroponte (odierna Eubea) attaccato alla Grecia e vicinissimo ad Atene. Vi sono poi le isole di Corfù (posta sull'accesso all'Adriatico) e di Cipro (vicina ad Aleppo e gli altri scali mediorientali).

Ovviamente sono solo alcuni esempi; peraltro diacronici nel tempo, visto che veneziani ed ottomani hanno combattuto numerose guerre nell'area suddetta finalizzate al dominio degli snodi centrali. È la storia della battaglia di Lepanto e dell'assedio di Cipro, quello del Bragadin per i più curiosi, ma anche della guerra di Candia e della guerra di Morea venute in sede successiva.

Cosa ci racconta tutto questo?

Una particolare visione strategica; ovvero che è possibile, per un paese più limitato nel proprio potenziale, competere con attori più grandi polarizzando al massimo i propri sforzi grazie ad una decisiva chiarezza di obiettivi e di mezzi necessari.

In altre parole; o l'Italia riuscirà a far valere il suo vantaggio geografico, che non è solo mediterraneo, o vedrà declinare definitivamente il proprio ruolo militare e strategico attivo.

Essere al centro del Mediterraneo oggi ha di per sé poca importanza, perché il centro del mondo si sta spostando, ma assume un significato del tutto rinnovato se si guarda al traffico commerciale navale, che infatti passa ancora da lì (il lettore si ricordi, ad esempio, delle conseguenze relative al recente blocco di Suez). Il punto quindi è che l'ottica del Mediterraneo allargato è corretta se la si intende come influenza e controllo dei due portali di accesso, e di connessione esterna, che questo mare ha con gli oceani.

Il portale che confluisce nello stretto di Gibilterra è significativo per gli interessi atlantici, quello che arriva a Suez è essenziale per interagire col mondo asiatico.

Attuare una strategia che rafforzi le nostre capacità navali sia militari sia mercantili è la sola via per giocare un nuovo ruolo internazionale effettivo; e in questo l'interazione coi paesi africani e mediorientali non può essere esclusa.

Interazioni gerarchicamente verticali coi paesi del Corno d'Africa dovranno essere accompagnate da cooperazioni con paesi chiave come l'Arabia Saudita e gli EAU; il tutto in una logica che guarda fino al contatto con l'alleato giapponese in contrasto con l'espansione egemonica cinese.

Credo che l'Italia stia facendo dei passi in questa direzione; ma, stante il poco tempo disponibile a causa della concorrenza e delle cointeressenze internazionali, ogni accelerazione è sicuramente un elemento di beneficio.


Leonardo Lucchesi



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