Il diciassette e il ventisei febbraio, e ancora il quattordici, il sedici e il ventisei marzo, l'undici aprile: in queste date sono accaduti in Italia episodi di violenza o intolleranza interamente riconducibili all'orientamento sessuale.
L'intolleranza per motivi legati al sesso, all'orientamento sessuale, al genere e all'identità di genere in Italia ha raggiunto proporzioni allarmanti tanto che, l'anno scorso, il Parlamento decise di muoversi approvando alla Camera un disegno di legge il cui corpus principale era quello di normare un ambito rimasto a lungo lacuna giuridica.
Già nel 2019 il Parlamento si era mosso per affrontare un altro gravissimo crimine d'odio, la piaga della violenza contro le donne (il cosiddetto "Codice Rosso" approvato durante il governo Conte I), nel 2020 dunque il leitmotiv della lotta alla violenza continuò con la previsione di una serie di misure volte al contrasto della violenza per motivi legati a sesso e orientamento sessuale: alla Camera dei Deputati il testo, ribattezzato "ddl Zan" dal nome del suo relatore, fu approvato nel novembre del 2020, ma in Senato si è registrata la battuta di arresto.
Ed è qui che si è scatenato il dibattito.
Il disegno di legge si compone di 10 articoli, dei quali alcuni sono stati, e tutt'ora sono, oggetto di fortissimi contrasti interni al Parlamento e non solo: al primo articolo la legge si occupa di stabilire la definizione giuridica dei termini fondamentali del provvedimento quali "sesso", "genere", "orientamento sessuale" e "identità di genere", oltre alla previsione, contenuta negli articoli a seguire, anche della motivazione riconducibile all'abilismo, ognuno quindi messo a fuoco dalla norma in quanto impalcatura necessaria alla costruzione giuridica della legge; sono tuttavia gli articoli 2 e 3 del disegno che hanno suscitato aspri dibattiti, in quanto essi vanno a riformare rispettivamente gli articoli 604-bis e 604-ter del codice penale aggiungendo, ad ognuno, come motivi incriminatori quelli che sono previsti dall'articolo 1 del disegno di legge.
All'articolo 4 trova posto la cosiddetta "clausola salva idee", per la quale, secondo il testo della legge, "sono fatte salve la libera espressione di convincimenti ed opinioni nonché le condotte legittime riconducibili al pluralismo di idee o alla libertà di scelta" purché queste, ovviamente, non superino i limiti costituzionalmente e penalmente previsti per le opinioni e le condotte.
L'essenza dell'intervento legislativo è, quindi, quella di ampliare la tutela offerta dagli articoli 604-bis e 604-ter, ampliando gli strumenti che l'autorità giudiziaria ha a disposizione nei casi in cui il motivo scatenante la violenza sia tra quelli previsti dall'articolo 1 della legge: ed è qui che si coglie il motivo per il quale il nostro paese sembra aver bisogno, al momento, di una legge avente tali contenuti.
Come detto, i reati compiuti per uno dei motivi previsti dal disegno di legge si sono moltiplicati negli ultimi anni, portando una larga fetta dell'opinione pubblica a chiedere un deciso intervento delle istituzioni per porre un freno ad una violenza intollerabile.
Il nodo della questione si trova qui: nelle due inconciliabili sponde del fiume, ovvero tra chi la ritiene necessaria ed urgente e chi, al contrario, la ritiene, in un momento di grave crisi sociale ed economica, non prioritaria.
Lo scontro che si sta consumando su questo tema non è certo uno scontro sui contenuti, ma la perfetta lente di analisi di una società, quella italiana, spaccata in due grandi blocchi, quello progressista e quello conservatore, uno scontro che assume toni accesi e che spesso si concentra più sulla schermaglia politica che sulla realtà che il paese attraversa, quella della diffusione dei crimini d'odio e della difficoltà del sistema di porvi efficace rimedio: al momento infatti le violenze che il disegno di legge intende affrontare sono intese come violenze per futili motivi, una circostanza questa che appare, al giorno d'oggi, insufficiente ed antiquata per descrivere in termini giuridici i crimini d'odio legati a sesso, orientamento sessuale, genere ed identità di genere, ma è proprio la presenza dei futili motivi, all'articolo 61 del codice penale, ad essere la casella della scacchiera sulla quale si concentra l'argomentazione di chi si oppone alla legge.
Il diritto, tuttavia, non può essere ridotto a semplice indicazione scritta in un codice, ma per natura è specchio della società che decide di dotarsi di regole e che con questa società si evolve costantemente, ed è per questo che oggi l'indicazione dei futili motivi come circostanza aggravante non è più sufficiente a descrivere il fenomeno dei crimini d'odio: l'ordinamento infatti è privo di una specifica previsione in questo ambito, e quel che oggi si può fare è cercare di "arrangiare" una soluzione costruendola, appunto, su quanto previsto dall'articolo 61.
Una soluzione, questa, che per dirla in termini meno concreti, non assicura pienamente giustizia.
Il dibattito ha investito anche l'articolo 7 che prevede l'istituzione di una giornata nazionale contro l'omofobia, la transfobia, la lesbofobia e la bifobia e che menziona anche le scuole, nelle quali si prevede di tenere "cerimonie, incontri ed altra iniziativa utile", previsione che ha suscitato forte opposizione in quanto maschererebbe il tentativo di introdurre l'insegnamento della teoria gender, obiezione che può essere facilmente smentita semplicemente leggendo il testo normativo.
Il dibattito che si è scatenato intorno all'articolo 7, ma più in generale intorno al disegno di legge, non è stato esente dall'inquinamento da fake news, che hanno trovato una forte cassa di risonanza negli ambienti più squallidi dei social tanto che spesso è stato lo stesso relatore a dover intervenire per chiarirne i contenuti: dalla già menzionata bufala dell'introduzione della teoria gender fino alla legalizzazione della pratica dell'utero in affitto, passando dalla discriminazione delle persone eterosessuali (le quali rientrano a pieno nel novero dei soggetti potenzialmente tutelati dalla legge in questione), sono circolate moltissime bufale intorno al testo, il cui obiettivo primario, è bene ribadirlo, è quello di ampliare la portata degli articoli 604-bis e 604-ter, dunque quello di introdurre nel nostro ordinamento una specifica previsione giuridica per punire il compimento e l'istigazione a compiere reati per i motivi indicati all'articolo 1, oltre alla partecipazione ad associazioni che abbiano questo scopo.
Dunque, per concludere con la risposta alla domanda che dà il titolo a questo articolo, l'Italia ha bisogno di una legge contro l'omotransfobia innanzitutto per motivi giuridici, considerata l'assenza di una specifica previsione in materia.
Ne ha bisogno per motivi sociali, per non lasciare ancora indietro tutte quelle persone che affrontano difficoltà e disagi creati artificiosamente dall'intolleranza altrui, perché per misurare il grado di civiltà raggiunto da una società è bene anche analizzare come questa si prende cura dei soggetti più fragili e difende quelli più deboli.
Ne ha bisogno per non lasciare che l'articolo 3 della Costituzione resti lettera morta quando enuncia solennemente il principio di uguaglianza sostanziale, una delle più grandi conquiste dell'Italia libera e democratica, che partendo dall'ottocentesco ed insufficiente principio di uguaglianza formale (l'uguaglianza di fronte alla legge) prende atto delle differenze insiste nella società, ed incarica la Repubblica di "rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana", imponendo quindi alle istituzioni di attivarsi per impedire che le disuguaglianze che affliggono la società possano impedire alla persona umana di raggiungere quel fine di realizzazione e sviluppo che è alla base dell'idea di società voluta dai costituenti.
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