“L’espressione angloamericana politically correct (in ital. politicamente corretto) designa un orientamento ideologico e culturale di estremo rispetto verso tutti, nel quale cioè si evita ogni potenziale offesa verso determinate categorie di persone. Secondo tale orientamento, le opinioni che si esprimono devono apparire esenti, nella forma linguistica e nella sostanza, da pregiudizi razziali, etnici, religiosi, di genere, di età, di orientamento sessuale o relativi a disabilità fisiche o psichiche della persona.” Enciclopedia Treccani
Ultimamente sentiamo spesso parlare di questo fenomeno, del cosiddetto “buonismo mediatico e culturale”, le cui vittime possono essere divise in due tipologie principali: da un lato abbiamo i prudenti, quei produttori di contenuti che per evitare ogni accusa si fingono al passo coi tempi o progressisti; dall’altro lato invece abbiamo gli allarmisti i quali, con un atteggiamento quasi regressista o che fa leva sul conservatorismo del fruitore medio, addita ciecamente tutto ciò che appare dettato da un’ideologia buonista.
Per la categoria dei prudenti dunque potremmo fare l’esempio dei penosi “avvertimenti” nelle ultime distribuzioni di Via col vento, capolavoro spesso criticato per la presenza di personaggi creati in una presunta ottica razzista, personaggi che in realtà sono semplicemente coerenti al contesto dell’ambientazione (come la serva analfabeta, Mami, per la cui mitica performance l’attrice Hattie McDaniel ricevette addirittura un Oscar, divenendo la prima donna di colore ad essere insignita di tale riconoscimento). Per l’approccio allarmista invece mi riferisco a varie testate giornalistiche che promuovono polemiche infondate sul “Lupin nero che stravolge la storia originale”, criticando la serie francese targata Netflix per aver scelto come protagonista l’attore di fama internazionale Omar Sy.
Come avrete già capito, entrambi gli approcci sono da evitare quando si discute di contenuti culturali: se da un lato si cerca di tingere l’arte coi colori multietnici della società odierna, ad esempio scegliendo molti attori afroamericani e latini per l'eccellente musical sulla nascita degli Stati Uniti Hamilton, dall’altro si dovrebbe smettere di criticare queste scelte e considerarle come prodotti di una qualche dittatura culturale che impone la rappresentazione di ogni “tipologia” di essere umano, di etnia, di orientamento sessuale, di genere e di religione. Forse dovremmo ricordarci che ogni contenuto artistico si riferisce ad una dimensione fittizia, anche quando la storia è ispirata alla realtà, come nel caso del musical patriottico sopra citato; dunque sarebbe bello considerare attori, interpreti, artisti soltanto per le loro doti, invece che in base al ruolo sociale che ricoprono come esponenti di minoranze.
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