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Preghiera per Černobyl

Aggiornamento: 25 apr 2021



Svetlana Aleksievich, l’autrice di questo romanzo, è nata in Ucraina nel 1948 è una giornalista e scrittrice. È nota soprattutto per essere stata cronista per i suoi connazionali dei principali eventi dell’Unione Sovietica nella II metà del XX secolo: guerra in Afghanistan, disastro di Černobyl, suicidi di massa in seguito allo scioglimento dell’URSS.

Fortemente critica riguardo il regime dittatoriale in Bielorussia è stata perseguitata dal presidente Lukashenko. È stata soggetta ad una forte censura.

Dopo dodici anni all’estero è tornata a Minsk, i suoi libri sono stati tradotti in più di quaranta lingue. Ha ricevuto il premio Nobel per la letteratura nel 2015, “per la sua scrittura polifonica, un monumento alla sofferenza ed al coraggio del nostro tempo.”

«Questo libro non parla di Černobyl’ in quanto tale, ma del suo mondo» – ha dichiarato Svjatlana Aleksievič.

«Proprio di ciò che conosciamo meno. O quasi per niente. A interessarmi non era l’avvenimento in sé, vale a dire cosa era successo e per colpa di chi, bensì le impressioni, i sentimenti delle persone che hanno toccato con mano l’ignoto. Il mistero. Černobyl’ è un mistero che dobbiamo ancora risolvere…

Questa è la ricostruzione non degli avvenimenti, ma dei sentimenti. Per tre anni ho viaggiato e fatto domande a persone di professioni, destini, generazioni e temperamenti diversi. Credenti e atei. Contadini e intellettuali. Černobyl’ è il principale contenuto del loro mondo. Esso ha avvelenato ogni cosa che hanno dentro, e anche attorno, e non solo l’acqua e la terra. Tutto il loro tempo. Questi uomini e queste donne sono stati i primi a vedere ciò che noi possiamo soltanto supporre…

Più di una volta ho avuto l’impressione che in realtà io stessi annotando il futuro».

Nella sua opera "Preghiera per Černobyl", libro dalla quale è tratto l’omonima serie tv HBO diretta da Johan Renck, la scrittrice si riconosce come un singolo tra tanti. Il suo obbiettivo non è quello di riportare dati, discorsi dei politici, discorsi dei partiti. Anzi, vuole scardinare la manipolazione che uno stato esercita sul proprio popolo di fronte a certi disastri, per testimoniare il vero, il reale, l'"occhio del ciclone".

E' così che abbiamo testimonianze di persone che hanno visto la propria vita mutare, in un attimo indimenticabile. Persone che hanno assaporato il peso di un secondo, di un'esplosione, trovandosi a far i conti con la morte. Possiamo percepire il sacrificio della quotidianità nella disperazione dei contadini che si ritrovano i loro tuberi radioattivi, lo spaesamento nel "non vedere" il pericolo: le superfici percorse quotidianamente diventate tossiche, le strade della propria città divenute una "selva oscura".

Possiamo percepire l'amore, nelle testimonianze di donne che vanno a trovare in clinica i propri uomini, malati di tumore.

Possiamo percepire la vita nella morte, o la morte nella vita, quando una donna si è salvata dalle radiazioni "grazie" al suo feto, che le ha assorbite.

Soprattutto, una volta colto il dolore, fatto proprio, sopportato e rielaborato, Aleksievich dà voce alla protesta, alla non informazione, alla manipolazione.

Ciò che emerge da questa vicenda, e che la scrittrice mette in evidenza molto bene, è la grande ignoranza collettiva che c’era sul nucleare, l’obbedienza cieca dovuta al partito.

Aleksievich vuole scardinare la menzogna, mettere in luce la disinformazione del popolo e la fiducia cieca, troppo cieca verso il proprio stato, verso il blocco sovietico. Ciò che fa più paura, è che nessuno si lamentava: lo stato chiama, il popolo risponde.

"Una volta alla settimana, di fronte alle truppe schierate, veniva consegnato a coloro che si erano distinti nel lavoro di scavatore un diploma d’onore. Di migliore seppellitore dell’Unione Sovietica."

Come ha sottolineato l’autrice in un’intervista a Repubblica, l’URSS non è stata capace di far fronte alla tragedia di Černobyl, anzi, ha cercato di nascondere il più possibile gli effetti della radioattività sulla popolazione, riguardo quel disastro che nella notte tra il 25 ed il 26 aprile ha stravolto migliaia di vite: «è un tabù. Una volta da noi, in Bielorussia, distribuirono fra la popolazione i dosimetri per rilevare la radioattività fra la gente, ma suonavano in continuazione perché viviamo vicino a Černobyl. Quindi si abbandonò l’idea per non seminare paura. Si vive così».

La storia è fatta di eventi, causati per la maggior parte delle volte da errori. Per questo non bisogna dimenticare, per questo ogni voce è importante, ogni testimonianza valida.

Ce lo dimostra il disastro di Černobyl e a seguire quello di Fukushima. Il progresso, le macchine, sono un potere tanto, troppo grande per essere in mano agli uomini. Quest'ultimi troppo ingenui per saperlo gestire.

Le vere guerre del futuro, non saranno quelle al fronte ma quelle che il progresso attuerà contro gli uomini.

“Questo nobel premi non sono il coraggio di una dissidente, ma anche e soprattutto il coraggio di una scrittrice che con il suo stile letterario ha minacciato il potere” –Roberto Saviano

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