“Non c’è nulla di così faticoso come sostenere l’eterno peso di un compito non concluso” – William James
Procrastinare. Chi non mai provato “l’ebrezza” della nullafacenza completa fino all’ultimo secondo, per poi pentirsene amaramente o esserne sorprendentemente elettrizzati per il risultato inaspettato?
Inutile mentire, almeno una volta nella vita, anche alla persona più organizzata del mondo è capitato di rimandare qualcosa all’ultimo secondo. Ma deve essere necessariamente etichettata come una cosa negativa?
Procrastinare, letteralmente, significa rimandare a un “domani” indeterminato ciò che (tecnicamente) andrebbe fatto al momento. Quest’azione viene condannata da tutti, dopotutto, “è la ladra del tempo”. Eppure, tutti noi procrastiniamo regolarmente (basti pensare che dall’85% al 90% degli studenti lo fa, giusto per citare qualche dato). Questo vuol dire che quasi tutti noi studenti siamo dei fannulloni?
Procrastinare è una tendenza naturale dell’uomo, acuitasi negli ultimi anni per un semplice motivo: le competenze da imparare, le attività da fare ed i doveri sociali e lavorativi si sono moltiplicati negli ultimi anni in maniera folle e, conseguentemente, la gestione del tempo è divenuta molto più complicata. Il risultato è che ci sentiamo sempre più pressati, più stressati dagli eventi e ciò comporta questo blocco psicologico che ci auto-infliggiamo e che ha degli esiti da non sottovalutare.
Prima di tutto, una cosa è importante ricordare: essere procrastinatori non significa necessariamente essere meno produttivi, ma essere produttivi a modo proprio.
Nella procrastinazione sono presenti due elementi fondamentali:
Tu: con il tuo carattere, le tue aspettative, influenzato dall’ambiente che ti circonda;
Le attività da svolgere.
A causa di questi, tanti possono essere i motivi per cui una persona tende a procrastinare: semplice pigrizia (l’istinto dell’uomo non è programmato per i ritmi della vita moderna), mancanza di motivazione (è innegabile che chi è motivato verso un compito, non lo procrastina), paura dell’insuccesso (si ha la percezione inconscia che l’insuccesso “svelerebbe” la nostra inadeguatezza, mentre il non far niente permette di rimanere nell’ambito della possibilità) e distonia del sistema di valori (indicante qualcosa in più della mancanza di motivazione o di voglia. In questo contesto, manca proprio la fiducia del nostro subconscio nei riguardi dell’azione stessa).
Frank Partnoy, professore all’Università di Chicago, sul tema ha scritto il libro pro-procrastinazione “Wait. The Art and Science of delay” in cui porta avanti un assunto di questi tempi molto audace: la battaglia anti-procrastinazione ha, come conseguenza, un peggioramento globale della qualità delle nostre decisioni e delle nostre azioni. Saper aspettare e rimandare, infatti, spesso ci permette di fare le cose in modo migliorr (concetto non nuovo, comune nei grandi classici della strategia politica e militare).
Secondo Partnoy, i vantaggi del saper procrastinare sono almeno sei:
- Permette di avere un quadro d’insieme più completo: anticipare le decisioni spesso significa prenderle sulla base di informazioni incomplete;
- Hai più tempo per preparare queste attività in modo migliore;
- Eviti di perdere tempo in cose inutili: buttarsi sistematicamente dentro un’attività senza avere la certezza che sia necessario farla, causa a lungo termine un dispendio di energie e tempo enormi;
- Capisci quali siano le cose davvero importanti per te;
- Coltivi la tua creatività: numerosi studi scientifici hanno dimostrato che la procrastinazione favorisce il “divergent thinking”, aiutando il tuo cervello a mettersi in “modalità diffusa”, ovvero non focalizzata su un unico pensiero o compito. In questa maniera hai l’opportunità di spaziare ed essere più originale; quando invece sei incalzato dalla necessità di essere produttivo, il tuo cervello tende ad affidarsi a schemi precostituiti, automatismi, pregiudizi e preconcetti. Il risultato sarà quindi completamente all’interno della tua zona di confort, cioè conservatore e poco originale.
- Ti proteggi dalla iper-produttività e dalle sue neurosi.
Oltre allo studio eseguito da Partnoy, in tema di procrastinazione è importante citare anche quello del filoso di Stanford John Perry. Quest’ultimo ha basato l’inizio del suo studio (durato poi diciassette anni) su una semplice intuizione: nonostante gli fosse sembrato di procrastinare per tutta la sua vita, in realtà si è reso conto di essere stato molto più produttivo di quel che pensasse, per cui ha sviluppato la certezza che “i procrastinatori raramente non fanno niente”.
Secondo gli studiosi, il giusto filo metodologico per smettere di procrastinare è quindi ben chiaro: prendere coscienza di sé stessi e delle attività da svolgere, in modo da riuscire a percepire anche una maggiore libertà da tutte le ansie che da essa derivano.
Ma il suggerimento principale è quello di non cercare di smettere di procrastinare del tutto, proprio perché, come percepibile dagli esempi sopracitati, la procrastinazione ha in sé molto di buono: essa infatti stimola e spesso permette di evitare la presa di decisioni fin troppo avventate.
Comments