L'annuncio da parte di Facebook della lotta senza esclusione di colpi alle pagine di disinformazione e diffusione di fake news non poteva che lasciare contento chi, come chi scrive, ha in profondo odio la disinformazione e l'arroganza con la quale questa striscia nel dibattitto pubblico.
Nel 2020, la disinformazione si è manifestata con tutta la sua violenza e forza in occasione di qualcosa che nessuno, nell'Europa del ventunesimo secolo, avrebbe mai creduto possibile, ovvero un'epidemia: abbiamo assistito, e assistiamo a volte addirittura con rassegnazione, alle parole di utenti profondamente convinti di complotti internazionali degni di un film o di teorie talmente assurde da sembrare rilanciate da qualcuno che di quelle cose niente sa e niente mai saprà; posso dire che il sentimento che più ha mi ha pervaso in questi mesi di violenta diffusione della disinformazione è stata la rabbia.
La rabbia contro coloro che, complici inconsapevoli, in assenza di qualunque spirito critico e con l'arroganza che contraddistingue l'ignoranza, intasano la società di paura e menzogne, con reazioni violente e volgari alla smentita.
Il problema, sottolineato da diversi giornalisti e studiosi del fenomeno, non è tanto la falsità in quanto tale ma la spaventosa eterogeneità della disinformazione, che ormai colpisce ogni ambito sociale, economico, politico, didattico, con la consapevolezza della propria capacità distruttiva: il calibro del problema è diventato tale da portare alla nascita di una vera e propria figura, quella del debunker, letteralmente colui che smaschera la fandonia.
Il lavoro incessante dei debunker sul web, sia professionisti sia amatoriali, ha ricoperto nel corso soprattutto degli ultimi anni un ruolo prezioso di contrasto alla diffusione delle fake news, ma ha mostrati limiti di portata, incapace di contrastare canali sempre più eterogenei e numerosi di creazione e proliferazione; famigerate pagine su Facebook segnalate, cancellate e rispuntate dal nulla, aggregazioni imponenti di utenti riuniti sotto l'insegna dell'immagine di copertina di gruppi nei quali addentrarsi fa quasi paura, diffusione di profili falsi, bot, troll e quanto di peggio ci sia da offrire hanno messo a durissima prova l'informazione.
Ed è in questa situazione di caos che, nei giorni passati, ha suscitato soddisfazione l'annuncio dl uno dei social network più usati al mondo, Facebook, di combattere attivamente il fenomeno attraverso la chiusura di tutte quelle pagine e profili responsabili della situazione.
Con una conseguenza da non sottovalutare: che quella di Facebook è, senza troppi problemi, una censura.
Il tema della censura, molto spesso richiamato dagli stessi diffusori di falsità con il celeberrimo "condividi prima che censurino" non mi ha lasciato indifferente; se in un primo momento la mia reazione è stata quella della soddisfazione, subito mi sono posto alcune domande: dove può arrivare questa censura di Facebook? Quali sono i suoi limiti? Come fa a decidere un algoritmo se una notizia è falsa o è vera?
Troppo spesso sento dire che una cosa è "palesemente falsa", ed io stesso non ho mancato di utilizzare quel termine, proprio per rimarcare quell'attitudine ad eliminare o sminuire quanto non ci piace o quanto non ci trova d'accordo, e molto spesso nella sezione commenti delle testate giornalistiche troviamo energici utenti che, con l'arroganza di chi non sa, bollano il contenuto dell'articolo come falso.
Ciò che l'annuncio mi ha portato a chiedermi è quanto questo potere di un social network può realmente influenzare la libertà di manifestazione del pensiero e della diffusione dell'informazione? Molto, è la riposta che mi sento di dare, perché ciò che non si deve mai dimenticare è che il social network è privato, e che le sue regole, per quanto influenzate per natura da quell'idea di democraticità posta alla base del funzionamento del web, non sono sottoposte ad alcun limite.
Certo, si potrebbe discutere di quanto l'azienda sia sottoposta all'attenzione, sempre più importante, delle regole e dei fondamenti democratici occidentali, essendo nata e sviluppata in occidente, ma sarebbe una conclusione parziale, che mi continuerebbe a lasciare perplesso: l'idea che possa essere qualcuno a decidere come influenzare la vita pubblica è spaventosa ma altro non è che la realtà, perché quotidianamente entriamo in contratto con quell'algoritmo il cui scopo è quello di portarci a rimanere sul social network e su di esso spendere più tempo possibile, in quella che è chiamata l'economia della disattenzione, che ci porta all'astrazione dal mondo reale perché ciò che ci viene mostrato è ciò che l'algoritmo ha calcolato possa piacerci.
Ed ecco dunque il grande interrogativo: quali sono le cose con le quali non entro in contatto, quelle cose che, appunto, mi vengono, indirettamente, censurate? La mia conoscenza del mondo e della realtà può davvero essere basata su ciò che un'istruzione ha deciso di mostrarmi sul telefono, l'idea che mi faccio della realtà può davvero basarsi sulle sole cose che una macchina ritiene possano interessarmi?
Questa domanda mi ha portato ad una conclusione piuttosto secca: continuando a mostrarmi ciò che a me piace e che mi interessa altra conseguenza non ha che impedirmi di entrare in contatto, e quindi conoscere e comprendere, ciò che a me non piace, impedendomi ulteriormente di sviluppare un pensiero elaborato su ciò che mi circonda, di discutere con chi la pensa diversamente da me (perché, per lo stesso motivo per il quale mi viene mostrato ciò che mi piace, vengo anche messo in contatto con persone simili a me per interessi ed idee).
E ciò, inevitabilmente non si può che tradurre che con l'ulteriore impoverimento di un dibattito pubblico già profondamente segnato dalla polarizzazione causata dalla rete, dalla contrapposizione accesa di tifosi virtuali, con la conseguenza della nascita e della proliferazione di un odio feroce ed inconsistente.
Ciò che sento di poter dire è di ricercare sempre, in qualunque ambito vi sia interesse, più di una versione e più di un'opinione, più della semplice indicazione che si può trovare sul maggior veicolo delle informazioni al momento, perché il mondo non è bianco né è nero, perché non esiste solamente ciò che mi viene mostrato nell'immediato, ciò perché ogni pensiero critico, base dell'indipendenza di ogni essere umano a qualunque tentativo di sottomissione, ha bisogno, al pari di una pianta che cresce, di cure ed attenzioni che solo nella attiva ed incessante ricerca possiamo trovare, nello studio attento e nel confronto costruttivo.
Perché non è giusto che l'ignoranza e la malizia nel suo sfruttamento distruggano un mondo che oggi più che mai ha disperato bisogno di conoscenza, perché non è giusto ridurre la conoscenza a ciò che compare sulla home di un social network.
Se c'è un momento in cui la cultura, qualunque essa sia, da quella sportiva a quella medica, da quella giuridica a quella agricola, ha avuto bisogno di nuova linfa, è proprio questo.
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