Gattamòrta (o gatta mòrta) s. f. – Persona che, sotto un aspetto tranquillo e mansueto, nasconde tutt’altro carattere: è proprio una g.; con quel suo fare di gatta morta, e con quelle sue proposizioni sciocche, io l’ho per un dirittone, e per un impiccione (Manzoni); fare la g., ostentare semplicità oppure indifferenza, far finta di non vedere o sapere, per non destare sospetti e riservandosi di agire a proprio vantaggio in un momento più opportuno.
Così recita la famosa enciclopedia Treccani.
Tutti abbiamo sentito parlare, almeno una volta, di “gattemorte”(ai i patiti di serie della Rai sarà subito venuta in mente la figura di Azzurra Leonardi) e, solitamente, per descrivere in modo dispregiativo una donna capace di attrarre gli uomini.
Ma in che senso un gatto morto dovrebbe attrarre gli uomini? Sebbene l’etimologia della parola sia chiara, gatto + participio passato del verbo morire, la sua storia è invece molto interessante. Sembra che tutto nasca da una favola del VI secolo di Esopo: Il gatto e i topi.
“C’era una volta una grande casa infestata dai topi.
Un giorno si trovò a passare da quelle parti un gatto affamato; constatando che c’era così tanta abbondanza di cibo, si fermò a soggiornarvi.
Il micione cominciò a rincorrere i topi uno per uno e man mano che li acchiappava se li mangiava. Da quel giorno la vita dei ratti diventò misera e infelice. Non osavano più avventurarsi fuori dalle loro tane in cerca di cibo per paura di essere divorati dal gatto. Ma in questo modo, anche per il felino le cose andarono male. Finché i topi se ne restavano rintanati, lui non aveva di che mangiare, così pensò che l’unico mezzo che gli restava per convincerli ad uscire dalle loro tane era quello di ricorrere ad un ingegnoso stratagemma.
Il gatto si stese per terra a pancia all’aria e trattenendo il respiro, senza muovere un muscolo, fece finta di essere morto.”
In sostanza, quindi, il termine significherebbe mostrarsi inoffensivi per costringere gli altri ad abbassare le difese. Caratteristica che, tuttavia, non ha il gatto, a differenza di altri animali, come ad esempio l’opossum. Questi animali, come anche i due simpatici amici di Ellie ne L’era glaciale, riescono a fingersi morti restando immobili e producendo un liquido il cui odore è assimilabile a quello della putrefazione. Crash ed Eddie, infatti, più di una volta, per paura dei predatori, fanno finta di essere morti; play opossum (fingersi morto) dicono gli inglesi.
“Vedendo ciò, curiosi, i sorci cominciarono a fare capolino dai loro nascondigli, ma uno di loro, il più scaltro, disse al gatto: ‘Oh, certamente sei molto intelligente, ma puoi anche diventare un sacco di farina se vuoi, tanto, nessuno di noi sarà così stupido da avvicinarsi a te’”
In questo caso, e come solitamente accade nelle favole di Esopo, l’inganno non riesce, e i piccoli animaletti si riscattano con l’intelligenza. Probabilmente questo leitmotiv trova riscontro nella vita dell’autore, che divenne da schiavo a consigliere grazie alla sua astuzia.
Ma come mai si parla proprio di “gatta” anziché “gatto”? La spiegazione sembra essere linguistica, il Vocabolario della Crusca del 1612, infatti, riportava soltanto la parola “gatta” per indicare il nostro amico che fa le fusa. Per quanto riguarda poi le varie voci e i vari esempi all’interno della medesima edizione, troviamo sempre una netta predizione per gatta: 52 casi contro gli 8 di gatto. Già Manzoni, come riportato nella citazione all’inizio, fa usare questo termine dal Conte Attilio nella descrizione di padre Cristoforo.
Successivamente, poi, la gattamorta ha acquistato un diverso significato, ossia la sintesi tra la femme fatale e la femme fragile, il tipo di donna che dietro a una falsa cortesia nasconde una spietata rivalità nei confronti delle altre donne.
In ogni caso, indagini del web hanno mostrato che agli uomini non piacciono questi tipi di donne. Quindi smettiamo di fare le gattemorte!
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