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samueleporri99

Stoner: come trovare la luce in fondo al tunnel

Immedesimatevi un momento: siete William Stoner. Nascete a Boonesville, un minuscolo paesino di campagna, dove crescete lavorando la terra per aiutare i vostri genitori. Raggiunta la maggiore età, vi iscrivete ad un’università a 40 chilometri da casa dove vi laureate, ottenete il dottorato e lavorate fino alla morte. Prima di raggiungere la tomba, riuscite a farvi solo due amici, uno dei quali perde la vita in guerra ; vi sposate con una donna che non vi ama con la quale avete una figlia che amate come voi stessi, ma che lasciato il nido taglia con voi tutti i contatti.


Questo sono solo alcune delle tragedie che costellano la vostra vita: una vita che, ad essere buoni, definiremmo comunque piuttosto noiosa. Consumata quasi nella sua totalità fra le mura di casa e il campus, puntellata da brevi momenti di candore e speranza la cui unica costante è lo spegnersi in fretta. Eppure, messa nero su bianco da un autore del calibro di John Williams, la vostra biografia non lascia straziati o furiosi: lascia commossi, ispirati.

Ed è qui che si colloca la magia di queste 300 pagine: nell'abilità di descrivere, fin nei momenti più intimi, la totalità della vita di un uomo qualunque, di un uomo buono ma sfortunato, intelligente ma emotivamente impacciato e riuscire ad elevarlo a modello di ispirazione. Non un modello perfetto, non un Superman né un Tyler Durden, ma un qualcosa di vicino a cui tutti possiamo aspirare: perché nonostante gli ostacoli, gli errori, i fallimenti Stoner muore con il sorriso sulle labbra.



Sia chiaro: non si tratta di una storia a lieto fine, né di un protagonista troppo stupido e autocosciente per analizzare la sua situazione: si tratta invece di un racconto di resilienza, di un uomo che sviluppa la capacità di vedere il conforto in mezzo al caos, di un uomo che fa tutto quello che è in suo potere per rimediare ai suoi sbagli, mantenere la sua integrità morale. Di qualcuno che, resosi conto di non aver avuto niente dalla vita fra tutto ciò che sperava di ottenere, arriva al capolinea e trova un sorriso nell'avere accanto a sé il suo libro.


L'autore non sembra essere da meno: il soggetto è palesemente arido ma la prosa è sempre leggera, il ritmo svelto ma sostenuto, e vengono intrecciati con maestria momenti di fragilità a scene strazianti. Così si gioca la storia: in continuo bilico fra pessimismo e esaltazione della vita, fino al passaggio finale dove, alla domanda che sembra centrale per tutto il libro: “Una vita come quella di Stoner vale la pena di essere vissuta?” viene sostituita, con astuzia, con la stessa domanda ma rivolta al pro, invece che al lettore. Lettore che ha potuto seguire una vita come se osservasse un pesce dentro un acquario, lettore che leggendo le ultime righe si ritrova spiazzato da un finale che sembra contraddire tutta una serie di proposizioni formulate nel libro: come può una vita del genere lasciarti col sorriso?


Stoner è uno dei personaggi più Umani mai descritti e il libro omonimo è uno dei più onesti, uno dei più trasparenti trattati sulla condizione umana e nonostante la brutalità di questa verità lo scopo è quello di divertire e intrattenere il lettore. Infatti, in un'intervista Williams dichiarò proprio questo: “My god, to read without joy is stupid!”


Concludo col dire che, in tutto l'articolo, ho a malapena accennato ai variegati e attentanti complessi comprimari (sì, perché non c'è un personaggio che non cambi e lasci il segno in Stoner, per quanto breve o apparentemente insignificante la loro comparsa) le cui tragedie e filosofie vediamo, come un riflesso movimentato, attraverso gli occhi di William, fra i quali: Edith, la moglie gelida e terrorizzata dal mondo al di fuori delle regole familiari; Lomax, il collega brillante e rivale di Stoner, e Dave Masters, l'amico d'infanzia, portavoce di un monologo commovente che riassume, in un paio di pagine, l'essenza di tutto il racconto.


Vi lascio con queste due righe, tratte dal romanzo:

“Quand'era giovanissimo, Stoner pensava che l'amore fosse uno stato assoluto dell'essere a cui un uomo, se fortunato, poteva avere il privilegio di accedere. Durante la maturità, l'aveva invece liquidato come il paradiso di una falsa religione, da contemplare con scettica ironia, soave e navigato disprezzo, e vergognosa nostalgia. Arrivato alla mezza età, cominciava a capire che non era né un'illusione né uno stato di grazia: lo vedeva come parte del divenire umano, una condizione inventata e modificata momento per momento, e giorno dopo giorno, dalla volontà, dall'intelligenza e dal cuore.”

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