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corradociampi

Un canto per il futuro

Nell'autunno del 2019 in Cile si è scatenata un'ondata di proteste che da tempo non si verificava e la cui causa scatenante è stato l'aumento di trenta pesos del costo del biglietto della metropolitana, anche se ben presto la protesta ha investito tutti gli aspetti della vita politica, civile e sociale: tra queste ha assunto particolare importanza il flash-mob di denuncia della violenza contro le donne e del sostanziale immobilismo delle istituzioni cilene, chiamato "un violador en tu camino" ("uno stupratore sul tuo cammino" in italiano) ed eseguito da un gruppo di donne aderenti al collettivo femminista chiamato Las Tesis.

In poco tempo il video della protesta è diventato famoso in tutto il Cile raccogliendo adesioni e raggiungendo rapidamente notorietà internazionale, venendo replicato in molti paesi dell'America Latina e del mondo occidentale, Italia compresa.

Un canto che all'apparenza nasce lontanissimo da noi, ideato da persone così diverse, provenienti da contesti sociali e politici molto difficili da immaginare ma che in sé riassume la forza di un messaggio che ormai ha raggiunto portata globale, che non si ferma ai confini nazionali ma che porta all'attenzione di chi lo ascolta, con un linguaggio semplice e che poco lascia all'interpretazione, la denuncia esasperata di una situazione grave.

Ciò che colpisce del testo, intonato con forza nelle piazze di 52 paesi del mondo da quando fu creato un anno fa, è la chiarezza, ed una specifica frase, una frase che in sé riassume tutto ciò che il canto simboleggia: "y la culpa no era mia, ni donde estaba ni como vestia", in italiano riproposta, in occasione del flash-mob di Roma del 7 dicembre del 2019, con "la colpa non è mia, né dentro casa né per la via": una sola frase che si pone in aperto contrasto con quella narrazione che ancor oggi attribuisce alla vittima almeno una porzione di responsabilità, una narrazione che troppo spesso viene invocata per ripulirsi la coscienza, per minimizzare e allontanare gli spettri di un problema sociale e culturale spaventoso.

Il canto nato in Cile non è stato creato come denuncia di una realtà locale, ma nasce con la consapevolezza della portata globale del problema e dell'evidente potenzialità di canto internazionale, di mezzo di unione di coloro che riconoscono la gravità del problema.

La frase citata appare come una chiarissima risposta a quelle tipiche risposte che si leggono puntualmente quando un episodio di violenza accade, il cui senso non è solo quello di giustificazione ma che sembra andare ben oltre al semplice fatto, come che fosse il tentativo di salvare un intero modo di pensare e di concepire il mondo: "se l'è cercata", "poteva stare più attenta", "doveva stare da un'altra parte" effettivamente, se letti con la consapevolezza che sono commenti ad un episodio di violenza, non possono che essere un tentativo di assoluzione nella mente di coloro che di fronte al dolore altro non dicono che "se l'è cercata".

Ecco che quindi quella frase, ripetuta ancora e ancora all'interno del canto, non è solo una protesta, ma è la voce di milioni di persone inascoltate, la voce di chi cerca giustizia, di chi vuole quel che troppo spesso si dà per scontato: vivere in tranquillità la propria vita.

Ed ecco quindi che quel canto, intonato per la prima volta esattamente un anno fa a Santiago del Cile, dimostra come la volontà di vivere in pace e serenamente non possa essere rinchiusa in una linea continua su una mappa, ma superi i confini come fosse vento tra gli alberi: e come è noto, il vento non si può fermare.


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