Sono stato a Vicenza una volta sola in vita mia, ma ricordo che quando ci andai ebbi modo di notare una cosa, oltre al fatto che la città era davvero carina: in giro si vedevano molti cani al guinzaglio, ma nemmeno un gatto randagio! Ovviamente approfittai della situazione per fare battute su un ben noto stereotipo: quello dei “vicentini magnagatti”.
Per chi non sapesse di cosa sto parlando, partiamo dall’inizio. In Veneto è diffusa una filastrocca che abbina a ogni città veneta un tratto caratteristico; recita così: “Veneziani gran siori, Padovani gran dotori, Vicentini magnagati, Veronesi tutti mati, Trevisani pan e tripe, Rovigoti baco e pipe. E Belùn? Poro Belùn, te se proprio de nisun!”.
La maggior parte delle affermazioni ha un’origine comprensibile. Venezia, la Serenissima, è sempre stata una grande città piena di signori; a Padova vi è una famosa e antica università; che i veronesi abbiano fama di essere matti è forse dovuto al fatto che un tempo in città vi erano ben due manicomi; a Treviso la trippa è un piatto diffuso, mentre gli abitanti di Rovigo vengono definiti grandi bevitori e fumatori. Invece il “povero Belluno” è così defilato che non lo vuole nessuno.
L’espressione più curiosa però è senz’altro quella dei “vicentini magnagati”. Premesso che in tempi di magra, come le guerre e le carestie, è tutt’altro che improbabile che nei secoli scorsi la gente si mettesse a mangiare i gatti: pare che ancora nella Seconda guerra mondiale il governo abbia emanato un decreto per impedire che i nostri amici baffuti finissero in tavola. Perché però questa nomea dovrebbe essersi cucita proprio addosso agli abitanti di Vicenza? Le spiegazioni possibili sono moltissime.
La prima, piuttosto convincente, è di natura linguistica. Infatti nel dialetto vicentino per chiedere a qualcuno se ha mangiato si dice “gatu magnà?”, espressione che ai forestieri doveva ricordare per assonanza il nome “gatto”.
Radici antiche ha invece un’altra possibile spiegazione, secondo la quale nel corso del ‘700 Venezia fu invasa da orde di topi. Per debellare questi, la Serenissima fece appello a tutte le città vicine perché inviassero dei gatti; quando, tuttavia, si arrivò a fare i conti, si vide che da Vicenza non risultava arrivato nessun animale, come se gli abitanti se li fossero mangiati.
Una storiella simile ma a parti invertite vuole che fosse stata Vicenza a chiedere dei gatti alla capitale per debellare la piaga delle pantegane. Ottenuto l’obiettivo, era stato concordato che gli abitanti rispedissero i felini da dove erano venuti, ma Venezia non li vide mai ritornare perché qualche cuoco vicentino aveva deciso di… rinnovare un po’ il menù!
Esistono poi molteplici altre spiegazioni; una vuole che i gatti fossero delle armi da assedio in uso nel ‘500, un’altra tira in ballo la nobile famiglia vicentina dei Barbarano, soprannominati “gati”. La verità è che potremmo non conoscere mai l’origine di questa leggenda… e anche in questo risiede parte del suo fascino.
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