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marcobecherini159

Gesti manipolatori

Io non ho una barba particolarmente folta. L'unico tipo di barba che mi cresce è un pizzetto simile a quello di una capra e questo mi ha portato a sviluppare un riflesso condizionato per cui tutti i miei conoscenti mi prendono in giro: mi accarezzo il mento tutte le volte che leggo un libro, rifletto su qualche problema o, in generale, mi concentro.


Non che sia un vizio solo mio, dopotutto. Se cercate su Internet “uomo pensieroso” troverete dozzine di immagini come il disegno qua a fianco.

Sembrerebbe quasi che il gesto di toccarsi il mento sia connaturato all’atto di riflettere, che le due cose siano inscindibili… e un po’ è così.




Accarezzarsi il mento, grattarsi la testa, mordersi le labbra o mangiarsi le unghie sono tutti esempi di cosiddetti “gesti manipolatori”: piccoli tic, per così dire, abitudinari e caratteristici di varie persone. Sono azioni inveterate, che compiamo in automatico come reazione a determinate emozioni.


In buona sostanza, il nostro corpo ci induce, tramite una sensazione di prurito magari, a grattarci o accarezzarci parti del viso differenti, a seconda di un diverso stato d’animo che stiamo vivendo. Per questo certi gesti sono abitualmente associati alle emozioni: accarezzarsi il mento equivale a essere pensierosi; grattarsi la testa è sintomo di incertezza; mangiarsi le unghie è una reazione all’ansia. In generale tutte queste azioni sono, di solito, riconducibili a stati di nervosismo e irrequietezza; almeno così si è sempre pensato, anche alla luce del fatto che, quando ci accarezziamo il viso o ci grattiamo, questo libera endorfine, generando in noi una sensazione piacevole.


Gesti manipolatori come risposta tranquillizzante al nervosismo, dunque? Sì, diciamo che è questa l’idea condivisa ed è per questo che molti gesti simili vengono di solito interpretati come manifestazioni di disagio. Ad esempio, il gesto di toccarsi il collo può essere una risposta a un senso di minaccia, un modo per sentirsi protetti; è un gesto ancestrale, che ci deriva dal nostro passato da prede: la gola è un punto vulnerabile e avvicinarvi la mano sarebbe un modo per difendersi dai predatori che cercano di azzannarla. Se una persona si tocca frequentemente il collo questo può quindi indicare che si sente a disagio o in pericolo.


Altri studiosi, tuttavia, sostengono che i gesti manipolatori non siano per forza manifestazioni di nervosismo. Infatti, talvolta questi tic nascono proprio quando siamo più rilassati; ci viene spiegato fin da piccoli che alcuni gesti non sono educati, che mangiarsi le unghie davanti agli altri è disdicevole, perciò magari se questi gesti li compiamo è proprio perché siamo in un contesto amichevole, in cui ci sentiamo a nostro agio. Questo fa crollare un altro mito: se i gesti manipolatori non sono da associare alla tensione nervosa, allora non è per forza vero che chi ha un tic mentre vi parla sta mentendo, come spesso viene da pensare.

In definitiva, quello della comunicazione non verbale è un mondo immenso e ancora molto oscuro. Esistono figure professionali che lo studiano e di certo ne sanno più di me, ma mi piaceva cercare di far conoscere almeno l’esistenza di questo vasto universo. I gesti manipolatori, così come la gestualità e la mimica (i “gesti illustratori”) sono infatti una parte imprescindibile della comunicazione e, se questo è vero soprattutto per Alberto Angela, lo è però anche per un po’ tutti noi italiani, che non a caso all’estero siamo conosciuti come quelli che gesticolano sempre. La ragione di questo, secondo una teoria, sarebbe nella grande varietà linguistica che ha contraddistinto la penisola fino a tempi relativamente recenti. Quando la lingua italiana non si era ancora formata, probabilmente, la mimica è stata il mezzo principale di comunicazione e questo ci dimostra ancora una volta quanto la gestualità sia importante.


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