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L'origine del cappuccino

Abbiamo già parlato, in un articolo recente, dell’avventurosa storia del caffè, che ci ha portati dall’Arabia all’India e al Brasile in un viaggio durato molti secoli. Perché dunque non dedicare un approfondimento anche alle origini del fratellino minore del caffè, il cappuccino? Si tratta di una storia a modo suo sempre epica, benché forse meno avventurosa di quella del fratellone in quanto si svolge in un momento ben preciso della storia e in un singolo luogo.


L’anno è il 1683, il posto è Vienna. Nella capitale austriaca questo è ricordato come “l’anno dei turchi”, in quanto nell’estate del 1683 la città fu assediata per quasi due mesi dai turchi ottomani comandati dal Gran Visir Kara Mustafà. Si trattò di un assedio estremamente duro, dato che i turchi erano moltissimi: forse duecentomila, il più grande esercito ottomano che abbia mai messo piede nell’Europa centrale. I turchi ebbero lo svantaggio di non avere una grande artiglieria pesante, ma questa era una misera consolazione per gli abitanti della città, che dentro le mura pativano la fame e giunsero perfino a mangiare i gatti randagi.


Marco d'Aviano

L’idea che Vienna, una delle capitali della cristianità, potesse cadere in mano agli infedeli spaventava moltissimo l’allora papa Innocenzo XI, che sguinzagliò i suoi diplomatici per realizzare una grande alleanza di Stati cristiani che accorressero a dar man forte. Convincere i bellicosi regni europei a collaborare pareva una missione impossibile, ma il miracolo riuscì, soprattutto grazie a un uomo, un frate…un frate cappuccino.




Giovanni Sobieski

Si trattava del friulano Marco d’Aviano, che a lungo finirà nel dimenticatoio per venire beatificato solo nel 2003 da papa Giovanni Paolo II. Un eccellente predicatore, dal carattere focoso ed estremamente ostile agli “infedeli”, basti pensare che a sedici anni interruppe il suo seminario per andare a combattere gli ottomani a Creta. Con le sue prediche accorate era divenuto celebre in tutto il continente, tanto che pure l’imperatore Leopoldo lo aveva voluto come suo confessore e consigliere. E fu proprio col prestigioso sostegno imperiale, oltre che col suo carisma (e discreti esborsi di denaro), che Marco d’Aviano riuscì a ottenere consistenti aiuti umani e materiali da nobili della Germania, dell’Italia e della Spagna. Il vero colpo da maestro fu però riuscire a far entrare nell’alleanza il re di Polonia Giovanni Sobieski, notoriamente non in buoni rapporti con l’impero ma cristiano fervente: tanto bastò perché anche i polacchi marciassero su Vienna.


un "ussaro alato"

L’esercito della coalizione cristiana giunse a Vienna agli inizi di settembre, quando la città cominciava ad essere prostrata, tanto che ai rinforzi giungevano messaggi del tenore di “Vienna laborat in extremis”, portati da messaggeri che di solito erano ragazzini o giovani i quali attraversavano di notte le trincee turche. La battaglia decisiva infuriò il 12 di settembre e un contributo determinante alla vittoria dei cristiani (in netta inferiorità numerica) lo diedero proprio i polacchi di Sobieski. Il re infatti mise fine allo scontro con una carica della sua cavalleria pesante, gli “ussari alati”, così chiamati perché sul dorso dell’armatura avevano legate delle ali di legno che durante il galoppo sbattevano a ritmo, dando l’impressione che un esercito di arcangeli volanti fosse sceso a combattere. Gli ussari alati misero in rotta i turchi e si impadronirono del loro accampamento, del quale saccheggiarono le ricchezze.


La spartizione del bottino fu un tasto dolente, ma a noi non interessano gli ori e i tesori bensì qualcos’altro che si trovava nell’accampamento: chicchi di caffè. Interi sacchi di questi chicchi abbrustoliti vennero rinvenuti nelle tende e permisero di produrre la bevanda in città.


Jerzy Franciszek Kulczycki

Ora purtroppo la nostra storia si fa più nebulosa, in quanto non siamo sicuri di chi si sia accaparrato i preziosi chicchi; secondo una delle versioni più accreditate fu uno dei polacchi reduci dello scontro, Jerzy Franciszek Kulczycki, il quale avrebbe aperto il primo Caffè della storia di Vienna. Ma ora torniamo di nuovo a Marco d’Aviano.


Il nostro frate cappuccino, dopo essere riuscito nella miracolosa impresa di formare la coalizione, aveva accompagnato l’esercito nella marcia e aveva assistito alla battaglia (la sera prima aveva addirittura officiato messa per i soldati). Dopo la vittoria, egli venne considerato il salvatore di Vienna alla stessa stregua del re polacco e accolto in città con tutti gli onori. Fra coloro che vollero ringraziarlo vi fu pure Kulczycki, il quale lo ringraziò… un po’ a modo suo: offrendogli un caffè!


Marco d’Aviano assaggiò la bevanda di cui in città tutti parlavano, ma la trovò troppo amara e chiese qualcosa per smorzarne il sapore; gli venne portato del latte e, amalgamando le due bevande nacque un intruglio dal colore identico a quello del saio indossato da Marco, il tipico abito dei frati cappuccini. Così, in onore al salvatore di Vienna e ai membri del suo ordine la bevanda venne chiamata “cappuccino” e il resto, come si suol dire, è storia.

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